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Acufene [Italiano]
Capitolo XIV: Incursioni e supplizi

Capitolo XIV: Incursioni e supplizi

I giorni scorsero rapidamente. El padroneggiava ormai l'incantesimo di teletrasporto, e Grimvald, con una soddisfazione velata, ne supervisionava i progressi. Kethmer, El e Torvax vennero convocati dal re.

La sala del trono era avvolta da un’atmosfera carica di tensione. Il cavaliere nero li osservava con il suo sguardo impenetrabile, la regina immobile sul trono, come un’ombra silenziosa.

"Vi verrà affidata una missione," esordì il re. "Velaris, al confine tra l’Impero e le terre degli Orchi. Sarete teletrasportati da Grimvald, ma il ritorno dipenderà solo da voi. Non fallite."

Kethmer rimase sorpreso sentendo il nome di Velaris. Una città che aveva sempre evocato miti e leggende. Si raccontava che, durante una delle incursioni orchesche, il comandante nemico avesse risparmiato la città, colpito da un tramonto color sangue. Il ricordo di quel gesto aveva trasformato Velaris in una città simbolo, ma anche in una terra di frontiera, sospesa tra due mondi.

"Il vostro obiettivo," continuò il re, "è eliminare un gruppo di arcanisti imperiali. Sono aditi al censimento magico tramite filatteri. La loro morte rallenterà i piani di Maria la Sanguinaria. Raccogliete tutte le informazioni che potete, con ogni mezzo necessario, e poi tornate."

Kethmer annuì, ma il peso della missione era evidente. Uccidere gli arcanisti era un compito difficile, ma il rischio maggiore era sopravvivere nelle terre contese.

"Avrete un tramite," aggiunse il re. "La Gilda della Mano Buia. Mercenari di dubbia reputazione. Vi aspetteranno nella taverna Al Maiale Braccato. Siate cauti, persino tra i vostri alleati."

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Poche ore dopo, Grimvald li aspettava al cerchio per il teletrasporto.

"Siete pronti?" chiese lo gnomo, osservando i tre.

Torvax ridacchiò. "Quando mai non lo siamo?" disse con il suo solito tono sardonico.

Kethmer annuì, impugnando la sua spada. El, calma e composta, si posizionò al centro del cerchio.

"Tenetevi stretti e non perdete l'equilibrio," disse Grimvald. Un’ondata di fumo li avvolse, e in un attimo si ritrovarono altrove.

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Velaris era una città grigia, avvolta da un’atmosfera opprimente. Il confine con le terre degli Orchi era evidente dalle mura rinforzate e dai soldati di pattuglia, nonostante il mito. Il cielo sopra di loro era plumbeo, e l’aria portava l’odore pungente di ferro e polvere.

"Non sembra molto accogliente," commentò Torvax, scrutando le vie strette e i bassifondi che si estendevano davanti a loro.

"La taverna è laggiù," indicò El, consultando una mappa. Il gruppo si incamminò, consapevole degli sguardi sospettosi degli abitanti.

Arrivati alla taverna Al Maiale Braccato, trovarono un luogo che trasudava miseria e violenza. Le pareti erano annerite dal fumo, e l’odore di alcol rancido impregnava l’aria. Nel fondo della sala, un gruppo di uomini e donne dall’aspetto poco raccomandabile li osservava.

Kethmer avvertì il fischio farsi più forte. Questi erano i loro alleati? Sapeva che le cose sarebbero state complicate, ma non immaginava fino a questo punto.

La taverna risuonava di voci basse e di un’atmosfera carica di tensione. Dietro il bancone, un orco massiccio si grattava pigramente il petto, dove una grossa bomba di polvere nera era incastonata come un inquietante gioiello. Il suo nome, Bum Bum, era pronunciato con orgoglio, come un monito.

"Che volete?" grugnì, senza nemmeno guardare il gruppo.

"Tre birre," disse Torvax, senza esitazione, un tono di allegra sfrontatezza che fece scattare un'occhiata ironica da parte di El. "E dobbiamo vedere Lady Amadia."

Bum Bum li scrutò con occhi stretti, grattandosi ancora più vigorosamente, poi con un gesto pigro si allontanò, lasciandoli con il loro fetido alcol. La birra era calda, torbida e con un retrogusto disgustoso che a Torvax sembrò quasi nostalgico.

Dopo qualche minuto, Bum Bum tornò accompagnato da una donna dai capelli neri corti, con un occhio bionico che brillava sinistramente. Era Lady Amelia, il loro contatto con la Gilda della Mano Buia.

"Siete voi," disse, osservandoli con una sorpresa mista a diffidenza. "Beh, almeno sembrare capaci non è tra le vostre doti peggiori. Sedetevi, vi spiego la situazione."

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Lady Amadia parlò con franchezza, senza nascondere la sua riluttanza a collaborare."La rivoluzione di Maria non è stata accolta bene da tutti. Alcuni mercanti qui a Velaris sono furiosi, soprattutto quelli che usano la magia per i loro affari. Hanno figli tra i diciotto e i ventritrè anni che Maria vorrebbe portarsi via per la leva militare o per il censimento magico. Capite, no? Se ti portano via la tua gallina dalle uova d’oro, ti incazzi."

Kethmer annuì lentamente, ma notò il tono distaccato con cui la donna parlava. Amadia continuò, spiegando che gli arcanisti imperiali erano un problema.

"Sono un gruppo organizzato, ben armato e spaventosamente capaci. Nessuno stronzo sano di mente li affronterebbe. Posso dirvi dove si trovano, ma non aspettatevi altro da me. Voglio averci il meno a che fare possibile."

Torvax si accarezzò la barba, lo sguardo astuto."Eppure, qualcosa mi dice che ci guadagneresti parecchio se finissimo male."

Amadia sorrise fredda. "Non faccio beneficenza. Ma se tornate vivi, posso allungarvi un dieci percento come bonus."

"Facciamo il trenta," rilanciò Torvax, con un sorriso spavaldo.

Amelia sembrò ponderare la proposta, poi allungò una mano per stringerla a Torvax. "Fate il vostro lavoro, e avrete il vostro trenta percento. Ora, toglietevi dai piedi."

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Il gruppo uscì dalla taverna con la sensazione di camminare su una lama di coltello."La birra sapeva di piscio," commentò Torvax con una risata. "Ma almeno il lavoro promette bene."

Kethmer rimase in silenzio, i suoi pensieri concentrati sulla missione. La pressione era palpabile, e non poteva permettersi distrazioni.

"Facciamo una deviazione," disse Torvax, indicando una bottega poco lontana. "Voglio vedere il negozio di modifiche corporee di Velaris. Si dice sia famoso per la qualità dei suoi lavori."

El alzò un sopracciglio."Hai intenzione di perdere tempo con i tuoi capricci?"

"Capricci?" rispose Torvax, con un ghigno. "Piuttosto chiamiamoli investimenti. Potrebbero salvarci la vita."

Kethmer annuì, seguendo il nano con una certa curiosità. Anche lui aveva sentito parlare di quel luogo, e in una città come Velaris, ogni vantaggio poteva fare la differenza.

La bottega aveva un’aria diversa dal resto di Velaris. Era pulita, ordinata, con un silenzio che sembrava voler nascondere un’attività segreta e intensa. Dietro il bancone, un uomo anziano con il volto rugoso e mani segnate dal tempo osservava i nuovi arrivati con calma.

"Buongiorno," grugnì Torvax, battendo un dito sul bancone. "Mi serve una pelle a rifrazione mimetica. Sai di cosa parlo, vero?"

L’uomo non sembrò sorpreso. "So di cosa parli," rispose con un tono neutro. "L’operazione richiede otto ore. Il prezzo è di 4500 monete d’oro."

"4500?" Torvax sbuffò. "A Lutmira te la fanno per 3750."

Il vecchio sollevò un sopracciglio, le labbra piegate in un lieve sorriso di scherno. "A Lutmira, forse. Qui i materiali sono più difficili da reperire. I fornitori sono pochi, e i prezzi salgono."

"Peccato," disse Torvax, facendo un passo indietro. "Se è così, mi sa che cercherò altrove."

Il vecchio lo osservò per un lungo istante, poi fece un cenno con la testa. "4200, e ci accordiamo ora."

"Fatto." Torvax sorrise, allungando una mano per siglare l’accordo. Si girò verso Kethmer ed El, con un ghigno. "Fatevi un giro, io ci metterò un po’. Questo sarà un ottimo investimento."

Scomparve nel retrobottega, lasciando Kethmer ed El da soli in mezzo al silenzio della bottega.

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La tensione tra i due era palpabile. Kethmer la percepiva in ogni movimento di El, che sembrava più distante del solito. L’eco dell’ultima discussione gli ronzava ancora in testa, confondendolo e alimentando il suo fischio.

"Andiamo?" chiese Kethmer, spezzando il silenzio.

El si limitò a un cenno del capo, avviandosi verso l’uscita senza dire nulla. Kethmer la seguì, il suo sguardo indugiava su di lei, cercando segni di apertura, ma trovando solo la solita freddezza.

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Le strade di Velaris sembravano più cupe quella mattina. Il cielo sopra di loro era grigio, come se minacciasse pioggia, ma l’aria era gelida e asciutta. Camminarono per un po’ in silenzio, passando davanti a bancarelle piene di merci rare e strumenti magici.

"Perché non parli?" sbottò Kethmer, infine, fermandosi e incrociando le braccia.

El si voltò verso di lui, con un’espressione che sembrava un misto di stanchezza e irritazione. "Parlo quando ho qualcosa da dire."

"E non hai mai niente da dire a me." ribatté Kethmer, stringendo i pugni.

El si avvicinò di qualche passo, il suo volto ora più vicino al suo. "Non tutto ruota attorno a te, Kethmer. Non sono qui per essere la tua confidente o la tua guida."

"E allora perché sei qui? Perché resti?"

El sorrise, ma era un sorriso freddo, quasi beffardo. "Resto perché è dove devo essere. Non perché lo voglio."

Kethmer la fissò, sentendo il fischio aumentare, un misto di frustrazione e disperazione. Voleva capirla, ma ogni tentativo sembrava incontrare un muro insormontabile.

"Andiamo," disse infine El, girandosi di scatto e riprendendo a camminare. "Torvax ci raggiungerà quando avrà finito. Non vale la pena sprecare altro tempo qui."

Kethmer sospirò, seguendola. Ma nel profondo, sapeva che la loro discussione era tutt'altro che finita.

Le strade di Velaris erano un labirinto di vicoli stretti e sterrate, le ombre delle case cadevano pesanti sotto il cielo plumbeo. El e Kethmer camminavano in silenzio, il gelo tra loro si era ormai consolidato come un muro invisibile.

A un certo punto, un ragazzino lacero sbucò da un angolo correndo a testa bassa e sbatté contro El, quasi facendola cadere. Lei si girò bruscamente, controllando il borsello, ma era già sparito.

"Quel piccolo bastardo," sibilò El, raccogliendo il fumo sul dito, pronta a scagliare un dardo necrotico. Ma prima che potesse agire, Kethmer le bloccò la mano con una presa salda.

"Lascialo," disse, con voce ferma, gli occhi pieni di una strana compassione.

El lo guardò, aliena, come se non capisse il motivo di quella resistenza. Ma Kethmer alzò l’altra mano, facendo scaturire un piccolo sbuffo di fumo dalla punta delle dita. Il fumo raggiunse il bambino in corsa, esplodendo sopra di lui e creando una deformazione gravitazionale che lo schiacciò al suolo. Il ragazzino cadde, incapace di muoversi.

I due si avvicinarono rapidamente, e Kethmer si chinò per recuperare il borsello. Mentre lo apriva, tirò fuori una moneta d’oro e si avvicinò al bambino, che lo guardava con occhi spaventati.

Neutralizzando l’incantesimo, Kethmer gli porse la moneta. "Prendila," disse con voce pacata.

"Cosa diavolo fai?" urlò El, la sua voce tagliente come un coltello. "Perchè hai dato una delle mie monete a quel cane disperato!"

Kethmer si alzò lentamente, i suoi occhi lucidi incontrarono quelli glaciali di El. "Perché io sono un cane disperato."

El rimase senza parole, ma Kethmer continuò. "Ho un debito con i traduttori del silenzio di 950.000 monete d’oro. E io… non ho niente. Se avessi avuto una moneta mia, avrei dato quella."

El lo fissava incredula. Lui abbassò lo sguardo e aggiunse, con un tono spezzato: "Se non puoi sentire la disperazione, puoi almeno provare a comprenderla."

Si allontanò, lasciandola immobile per un istante, incapace di reagire. Poi El lo seguì, accelerando il passo per avvicinarsi a lui.

"Aspetta," disse, fredda. "Perché hai un debito così alto con i traduttori?"

Kethmer si fermò, voltandosi appena, il volto ombroso. "È una storia lunga e complicata. Riguarda mio padre. Un contratto. E un’eredità che non ho chiesto."

"E perché non hai rilevato quel contratto?" domandò lei, il tono più diretto, quasi gelido. "Se me lo avessi detto, ti avrei dato una mano piuttosto che vederti elemosinare una moneta."

Kethmer si morse il labbro, gli occhi fissi sul terreno. "Non posso. Non posso accettare il tuo aiuto. È qualcosa che devo risolvere da solo."

Il silenzio cadde tra loro come una pietra pesante. Dopo un lungo momento, Kethmer aggiunse: "Cammina con me. Ho bisogno di schiarirmi le idee."

El lo guardò per un istante, poi annuì, rimanendo al suo fianco mentre riprendevano il loro percorso tra i vicoli di Velaris, entrambi persi nei loro pensieri.

La panchina cigolava appena sotto il peso del silenzio che separava Kethmer ed El. Entrambi fissavano il via vai della gente, ognuno immerso nei propri pensieri. Fu Kethmer a rompere il silenzio, indicando con un cenno discreto un uomo che camminava con il petto gonfio e la testa alta.

"Secondo me lui è un mercante di pellicce," disse con un sorriso appena accennato. "Guarda come cammina, fiero della sua mantella nuova."

El lo guardò di sottecchi, sorpresa dalla sua osservazione, ma non disse nulla. Dopo un po’, fu lei a indicare un nano con una barba intricata e un'andatura decisa.

"Quello è un fabbro," affermò, secca.

Kethmer rise, annuendo. "Vero. Guarda che braccia poderose, sembra che possa piegare il metallo a mani nude."

Il tempo sembrava rallentare mentre continuavano quel gioco. Kethmer indicò una donna con un parruccone esagerato e un’aria altezzosa.

"Lei è una nobile tradita dal marito con una fornaia," dichiarò, quasi teatrale.

El rise, e Kethmer si voltò a guardarla, con un sorriso che lentamente svanì. I suoi occhi si fecero lucidi mentre parlava.

"La tua risata," disse piano, "assomiglia a quella di una prostituta. Ridono con la bocca, ma mai con gli occhi."

El smise di ridere e lo fissò, i suoi occhi divenuti come il ghiaccio. Kethmer si voltò verso il cielo, osservando le nuvole scorrere lente.

"So che sei vuota fino al midollo," continuò, il tono più morbido. "Senza empatia, senza quel calore che la gente dà per scontato. Ma va bene così. Ti conosco. E ti accetto così come sei."

Fece una pausa, un silenzio pesante che lei non interruppe.

"Se non altro," aggiunse con un sorriso stanco, "apprezzo il tuo teatro. Ricevere il silenzio dopo una battuta sarebbe terribile."

Kethmer si alzò lentamente, stiracchiandosi, e poi si voltò verso di lei.

"Andiamo in una fumeria," propose, con un sorriso che non raggiungeva gli occhi. "Offri tu. Voglio sentirmi vuoto come te, anche solo per un po’."

El lo fissò per un istante, poi si alzò senza dire nulla, aggiustandosi il mantello. Iniziò a camminare verso la strada principale, e Kethmer la seguì, entrambi avvolti in un silenzio che pareva quasi complicità.

La fumeria era un caos di corpi e odori, un luogo che pareva fuori dal tempo, dove tutto si mescolava e si dissolveva nel nulla. Kethmer guidava El con una precisione che sembrava innaturale, scartando la prima fumeria con un breve annusare l'aria stantia.

"Scarsa qualità," disse con disprezzo, continuando a camminare senza indugiare.

Quando entrarono nella seconda, il fumo sembrava quasi solido, un’entità che permeava ogni cosa. Kethmer si avvicinò al losco individuo all'ingresso, un uomo dagli occhi annebbiati, con le dita annerite e tremanti. El, senza parlare, gli allungò una moneta d'oro.

L’uomo la prese con avidità, mordendola per verificarne l’autenticità, poi, soddisfatto, gli porse una pipa di legno scuro e un piattino con una sostanza oleosa color ambra.

Kethmer prese il tutto con una certa familiarità, muovendosi tra i cuscini sparsi e i corpi abbandonati con un’agilità quasi animalesca. Evitava con attenzione le macchie di vomito e altri residui, finché non trovò un angolo relativamente pulito.

"Qui," disse, sedendosi e indicando a El di fare lo stesso.

Lei si accomodò con riluttanza, mantenendo sempre un’aria di superiorità distaccata. Kethmer, però, era già immerso nel suo rituale, spalmando il Ghymo all’interno della pipa con movimenti lenti e precisi. Con un fiammifero, accese il tutto e diede una lunga boccata, trattenendo il fumo per qualche secondo prima di espirarlo con un sospiro.

Il suo volto cambiò. Il fischio che lo tormentava svanì, lasciando posto a un sorriso ebete e rilassato.

El lo osservava con attenzione, quasi studiandolo.

"Anche tu hai un sorriso da prostituta, ora che ci penso," commentò, sarcastica, con un accenno di derisione.

Kethmer, con un tono più lento e mieloso, rispose: "È vero. Ma il mio è perché provo troppe emozioni e cerco di spegnerle." Si fermò un istante, guardandola con occhi pesanti. "Il tuo, invece, è perché non ne provi affatto e cerchi di imitarle."

Lasciò la pipa sul tavolo, poi si sdraiò sui cuscini con un'espressione beata.

"Questo Ghymo è forte," mormorò, chiudendo gli occhi per un momento.

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El afferrò la pipa e la portò alle labbra, aspirando un boccata con la curiosità di chi esplora un mondo nuovo. Ma nulla. Nessuna sensazione, nessun cambiamento.

"È inutile," disse Kethmer, ancora sdraiato con gli occhi socchiusi. "Tu sei incapace di provare ebbrezza."

Lei lo guardò, come se volesse sfidarlo, ma non disse nulla.

"Come fai a capire certe cose?" chiese infine, con un tono più basso, quasi intimo.

Kethmer agitò una mano, come a scacciare la domanda nell’aria. "Te l’ho detto... il manico del coltello non ce l’ha nessuno di noi due. È un equilibrio strano, il nostro."

Poi, senza preavviso, il suo corpo si abbandonò ai cuscini, e il suo respiro divenne regolare. Kethmer, per la prima volta in un anno e mezzo, si era lasciato andare al sonno.

El rimase a fissarlo per un lungo momento, poi posò la pipa e si accasciò contro il muro, silenziosa, lo sguardo perso tra le volute di fumo che si dissolvevano nel nulla.

La fumeria era un luogo che sembrava respirare, vivo nella sua decadenza. Kethmer si svegliò con un sussulto quando El gli diede una leggera spinta sulla spalla.

"È ora di tornare," disse fredda, ma con una leggera nota di impazienza nella voce.

Kethmer, che sembrava risvegliarsi da un sonno lungo secoli, si schiaffeggiò una guancia per svegliarsi del tutto. "Ci sono, ci sono," mormorò con voce impastata, infilando con un gesto rapido il Ghymo avanzato nella tasca del mantello.

Si alzò barcollando, seguendo El fuori dal locale, il fischio che cresceva dentro di lui come un canto distorto e straziante.

Quando arrivarono al negozio di modifiche corporee, trovarono Torvax davanti al bancone, intento a discutere con il mercante. Il nano sembrava soddisfatto, anche se il suo corpo era coperto di piccoli puntini rossi su ogni poro, un effetto collaterale temporaneo del trattamento appena ricevuto.

"Innesto riuscito," annunciò con orgoglio, alzando un pugno. Poi, annusando l’aria, notò immediatamente qualcosa di diverso nei due. Il suo sorrisetto sardonico si allargò. "Avete fatto un bel giretto, eh? Si sente nell'aria."

Kethmer non rispose, limitandosi a scuotere la testa con un'espressione neutra.

"Ora è tempo di andare," disse il nano, guidandoli fuori dal negozio e verso l’uscita della città.

Camminarono per ore, attraversando strade sempre meno battute fino a ritrovarsi nelle campagne, tra i campi di grano illuminati da una luce sempre più tenue. Torvax sembrava aver cambiato atteggiamento, ora era molto più concentrato, con lo sguardo che scrutava l’orizzonte in cerca di dettagli.

Raggiunsero il limite di un campo di grano, dove lo spiazzo si apriva su un’enorme distesa. Un accampamento circondato da una palizzata robusta, con guardie che pattugliavano il perimetro, si stagliava davanti a loro.

Torvax si lasciò sfuggire un commento infastidito. "Non si vede niente da qui. È quasi sera, maledizione. Alfiere," disse rivolgendosi a El con tono rispettoso ma deciso, "sarà meglio aspettare la notte per la ricognizione. Con il mio nuovo mimetismo, sarò un’ombra. Posso infiltrarmi e dare un’occhiata oltre le palizzate."

El, però, alzò una mano, segnalando di attendere. "Possibile, ma è probabile che abbiano sorveglianza magica," rispose, il tono calcolatore. "Occhi bionici con rilevamento termico o sanguigno. Il tuo mimetismo potrebbe non bastare. Se ti individuano, saremo in svantaggio immediato."

Torvax aggrottò la fronte, il disappunto evidente. "Allora cosa facciamo? Hai un piano?"

El rimase in silenzio, fissando l’accampamento con lo sguardo intenso. "Lasciami pensare," rispose, incrociando le braccia e iniziando a riflettere.

Kethmer, con il fischio che continuava a tormentarlo, si limitò a osservare in silenzio, aspettando che la tensione si risolvesse. La luce moriva lentamente, e con essa il tempo per decidere.

El si pronunciò con una voce calma e letale, il tono di chi aveva già deciso. Il tramonto dipingeva il paesaggio di un rosso sanguigno, riflettendosi sulle spighe che ondeggiavano leggere nel vento.

"Torvax," iniziò, puntando il dito verso di lui, "hai ancora quelle bombe allo zolfo e pirite accecanti?"

Il nano annuì, un sorriso compiaciuto gli increspò le labbra. "Sempre pronte, Alfiere."

El continuò con freddezza. "Bene. Ecco cosa faremo. Kethmer, lancerai il tuo incantesimo per fare levitare Torvax. Quando sarà abbastanza in alto da passare inosservato, attenderà sopra l’accampamento. Io e te, invece, approcceremo l’entrata principale fingendoci viandanti interessati a sottoporci al censimento."

Il vento sembrava trattenere il respiro mentre lei parlava, ogni parola pesante come una lama affilata.

"A notte calata, ci saranno pochi uomini svegli. Una volta dentro, elimineremo le guardie che pattugliano all’interno del perimetro. Nel frattempo, Torvax, inizierai a eliminare gli uomini fuori dalle mura, silenziosamente. Finito quello, verrai sopra di noi, farai cadere una bomba accecante esattamente al centro della nostra posizione. Ci copriremo gli occhi mentre loro saranno disorientati."

Kethmer ascoltava in silenzio, il fischio che si insinuava sempre più a fondo nella sua mente. El sembrava non accorgersene, o forse non le importava.

"Dopo l’esplosione, elimineremo il fulcro dell’accampamento. Una volta eliminati i comandanti, ci occuperemo dei soldati che dormono. Ricordate, però," aggiunse con un ghigno tagliente, "lasciate qualcuno di vivo. Ci serviranno informazioni."

Il silenzio cadde sul gruppo come una coperta pesante. Il piano era semplice e brutale, ma aveva una precisione che solo una mente glaciale come quella di El poteva concepire.

Torvax si sfregò le mani, entusiasta. "Mi piace. Il mio genere di piano. Bastardo e sporco."

Kethmer annuì, un lampo di inquietudine che gli attraversò gli occhi. "Funzionerà," disse con voce grave, anche se il fischio gli urlava contro l’idea stessa di un massacro.

"Prepariamoci," concluse El, spostando lo sguardo dal tramonto all’accampamento, come se stesse già scegliendo i suoi bersagli.

Il gruppo si dispose a sistemare le ultime cose, ciascuno con i propri pensieri e dubbi. La notte si avvicinava, portando con sé una promessa di sangue.

La notte avvolgeva il campo come un manto funereo, spezzato solo da qualche torcia fioca lungo la palizzata. Il gruppo attendeva immobile, nascosto tra le spighe, il vento che portava l’eco dei passi delle guardie lungo il perimetro. Kethmer sentiva il fischio salire come una marea incessante, i suoi occhi fissi sul campo mentre la sua mente vagava tra i pensieri oscuri e i dubbi sulla missione.

Torvax si avvicinò, il suo volto nascosto nell’ombra. "Prepariamoci," mormorò con un ghigno appena visibile. "Questo è il momento in cui si vede chi ha il fegato e chi no."

Kethmer non rispose, concentrandosi sulla gravità del compito. Allungò le mani e raccolse il fumo, avvolgendolo attorno al nano con movimenti precisi. Torvax levitò lentamente, un sussulto appena percettibile mentre si adattava alla strana sensazione.

"Calma," sussurrò Kethmer, quasi per rassicurare sé stesso più che il nano.

Torvax fluttuò verso l’alto, fondendosi con l’oscurità come un'ombra predatrice. El gli fece cenno di muoversi verso l’ingresso, il volto una maschera impenetrabile. Kethmer la seguì, il cuore che martellava contro le costole.

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Arrivati all’entrata, furono accolti da due guardie con gli occhi pesanti di sonno ma le dita pronte, intrise di fumo.

"Chi siete e cosa volete?" chiese una di loro, puntando un dito carico d’energia.

El alzò le mani, il tono della sua voce morbido ma sicuro. "Siamo mercenari. Proteggiamo una carovana proveniente dal confine. Abbiamo saputo del censimento e siamo venuti a registrarci."

Le guardie si scambiarono uno sguardo, valutandoli con occhi diffidenti, ma alla fine una di loro annuì. "Entrate," disse seccamente. "Siete fortunati. Gli arcanisti stanno ancora redigendo i registri."

Una delle guardie rimase al suo posto, mentre l’altra li scortò all’interno. Kethmer camminava teso, ogni passo una tortura, il fischio che gli martellava nelle orecchie come una campana funebre. El, al contrario, sembrava calma, gli occhi che si muovevano rapidi per analizzare la disposizione del campo.

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Arrivarono davanti a una tenda aperta. All’interno, vari arcanisti in armature leggere erano curvi su pergamene, stilando rapporti con mani agili ma lente per la stanchezza. Tra loro si muoveva una figura più imponente, con un’armatura decorata e un’aura autoritaria.

La guardia si fermò all’ingresso della tenda. "Sono qui per il censimento," annunciò, facendo cenno ai due di entrare. Poi, senza ulteriori parole, tornò al suo posto.

Un arcanista dal volto pallido e segnato dalla fatica li accolse con un gesto annoiato. "Sedetevi," ordinò, rivolgendosi a Kethmer. "Appoggia la mano sul tavolo."

Kethmer obbedì, la mente in tumulto. L’uomo estrasse un ago sottile e lo conficcò nel suo dito, prelevando una goccia di sangue che raccolse in un’ampolla. Ma la goccia, invece di cadere docile nel contenitore, si ribellò. Si mosse con una volontà propria, tornando alla ferita e richiudendola.

Kethmer ebbe un brivido gelido, il fischio che urlava nella sua mente.

L’arcanista si fermò, confuso, poi, con un’occhiata scettica, ripeté il gesto. Quando anche il secondo tentativo fallì, si raddrizzò e chiamò il suo superiore.

"Capo," disse con voce tremante, "qui c’è qualcosa che non va."

Il capo degli arcanisti si avvicinò, il volto incorniciato da un’espressione di irritazione. Si chinò verso Kethmer, scrutandolo con occhi indagatori, ma prima che potesse dire una parola, un oggetto rimbalzò sotto la tenda.

Una bomba.

El e Kethmer si coprirono gli occhi all’istante, seguendo il piano. Un lampo accecante esplose assieme ad un suono delicato che sfrigolò un secondo, e tutto si trasformò in caos.

L’oscurità della notte avvolgeva il campo come un sudario, amplificando i suoni smorzati dei colpi, il fruscio dei tessuti sollevati e l'eco di animali. Kethmer, immerso nel fischio assordante, agiva come una furia. La sua mente era annebbiata, un vortice di rabbia e oblio. Afferrò la mandibola dell’arcanista di fronte a sé con una forza brutale, strappandola via in un movimento unico e deciso. L’uomo cadde indietro, emettendo un rantolo soffocato mentre il sangue gli spurgava dalla gola.

Gli altri arcanisti si girarono istintivamente, il panico dipinto sui loro volti. Ma El fu più veloce: le sue dita disegnarono un movimento fluido, e un’aura di silenzio si espanse dalla sua figura, avvolgendo l’interno della tenda. Gli uomini aprirono la bocca per urlare, ma non emersero suoni; le loro grida rimasero intrappolate nelle loro gole.

Alcuni cercarono di reagire, tentando di lanciare incantesimi, ma la mancanza di parole non permise formule vocali. Kethmer non attese. Con occhi vuoti e lucenti di follia, balzò su di loro. Ogni colpo era letale, ogni movimento carico di violenza animalesca. Gli arcanisti cercavano di scappare, sollevando i bordi della tenda, ma Kethmer li inseguiva come un predatore, le sue mani che spezzavano e mutilavano senza pietà.

El lo osservava con un sorriso distorto. I suoi occhi brillavano di sadismo mentre il silenzio le permetteva di godere della scena in una quiete spettrale. Ma quando Kethmer si avventò sul capo arcanista, pronto a strappargli la gola, El gli posò una mano sul braccio, fermandolo.

"Questo ci serve vivo," sussurrò con un labiale che spezzò la trance dell’elfo.

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Uscirono dalla tenda, la notte ancora immobile e gelida attorno a loro. Kethmer alzò lo sguardo, cercando Torvax. Non lo vide, ma sapeva che il nano era lì, silenzioso come un'ombra, a sorvegliare il campo dall’alto.

Quello che seguì fu una macabra marcia lenta e metodica. El e Kethmer si muovevano tra le tende, aprendo i lembi di stoffa e immergendosi nel buio. Ogni volta che entravano, lasciavano dietro di sé un silenzio innaturale e corpi immobili. Gli arcanisti non avevano alcuna possibilità. Dormivano ignari, inconsapevoli della morte che si avvicinava.

Alcuni uomini uscirono da una delle tende per svuotare la vescica o per il cambio di guardia. Non ebbero il tempo di realizzare cosa stava accadendo. Dardi di balestra, infusi di veleno, li colpirono al collo. Le loro figure crollarono a terra con un tonfo sordo, i corpi che si contorcevano debolmente prima di fermarsi del tutto.

Torvax sorvolava il campo, un predatore alato. Dall’alto, i suoi colpi erano precisi e letali, accompagnati dal ghigno di chi sapeva di avere il controllo totale.

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Alla fine, la strage si concluse. Il campo era un cimitero silenzioso. Quarantatré morti giacevano tra tende e cuscini, sangue che si mescolava alla polvere e alle torce morenti. Al centro della carneficina, un uomo tremante: il capo arcanista, ferito e immobilizzato. El si avvicinò, osservandolo con occhi gelidi.

"Bene," disse, la sua voce tagliente. "Ora inizieremo a fare le domande."

Kethmer si sedette accanto al prigioniero, il respiro pesante, il fischio finalmente diminuito. Ma nei suoi occhi rimaneva un’ombra. Non era più l’elfo di prima. La notte aveva lasciato il suo marchio.

Kethmer fissò l'arcanista con uno sguardo carico di una luce sinistra, un ghigno storto che rivelava l'ombra del fischio che ancora lo tormentava. Le sue mani erano strette a pugno, pronte a colpire. "Parla," gli ordinò con una voce graffiante, "o ti ammazzo di botte così forte che dovrai sperare che lei," indicò El con un cenno del capo, "sia più misericordiosa di me."

L'arcanista tremava, il sudore gli colava lungo il volto pallido, sporcato dal sangue dei suoi compagni. El si accovacciò di fronte a lui, il volto privo di qualsiasi empatia, lo sguardo glaciale che perforava la mente del prigioniero. "Non ho bisogno di ricordarti che qui sei solo e nessuno verrà a salvarti," disse con un tono calmo, ma spietato. "Cominciamo con qualcosa di semplice: quali sono le disposizioni attuali del censimento?"

L'arcanista deglutì, la gola secca. "Il... il censimento si sta muovendo in tutte le province," balbettò. "Ogni città deve fornire sangue magico per creare filatteri. È... è un modo per controllare ogni arcanista nella provincia, un sistema centralizzato."

El annuì lentamente, le mani incrociate sulle ginocchia. "E Venetia? Qual è la situazione nella città?"

L'uomo esitò per un momento, ma uno sguardo di Kethmer, le mani che si chiudevano in un pugno minaccioso, lo costrinse a parlare. "Venetia è sotto controllo imperiale. La tana è stata abbandonata dai Traduttori del silenzio... o così crediamo. L'Imperatrice ha inviato una guarnigione per occuparla e usarla come base per il censimento nel sud-est."

Kethmer sogghignò. "Utile," mormorò, incrociando le braccia, ma i suoi occhi erano ancora predatori.

El inclinò la testa. "Le razze e i paesi vicini? Come hanno risposto al censimento?"

L'arcanista scosse il capo, cercando di rimanere lucido. "Gli orchi hanno... rifiutato. I loro capi tribù hanno detto che non accetteranno nessuna interferenza imperiale. I mesvet l’hanno ignorata. I nani delle montagne sono stati silenziosi, ma è probabile che stiano lavorando a un modo per sabotare il censimento."

El increspò le labbra in un sorriso freddo. "E i filatteri? Dove vengono custoditi?"

"Ogni città ha un deposito centrale," rispose l'uomo. "Ma i filatteri più importanti vengono trasferiti nella capitale, dove l'Imperatrice stessa li supervisiona. Nessuno sa esattamente dove siano, tranne il suo consiglio ristretto."

El fece una pausa, poi si inclinò leggermente in avanti, abbassando il tono della voce. "E ora veniamo alla domanda più importante: sai qualcosa sulla magia di distruzione di Maria la Sanguinaria? Qualcosa che non abbiamo già visto?"

L'arcanista si irrigidì, il volto impallidito ulteriormente. "Non... non molto," balbettò. "Si dice che stia usando frammenti di una magia proibita. Solo il suo consiglio sa veramente cosa sta facendo. Ma... ma ho visto gli effetti. Intere città... spazzate via in un istante."

El si alzò in piedi, incrociando le braccia. "Utile," disse con un tono tagliente. Si girò verso Kethmer, lasciandogli il prossimo passo. "Vuoi aggiungere qualcosa, o possiamo concludere questa piacevole conversazione?"

Kethmer scrutò il prigioniero per un momento, poi si chinò verso di lui con un sorriso sinistro. "C’è sempre un modo per renderti ancora più collaborativo. Ma per ora, sei stato... quasi utile. Speriamo che tu non ci abbia mentito."

El guardava il capo arcanista con il suo consueto sguardo glaciale, mentre questi ansimava, il volto contratto dal terrore e dalla stanchezza. "Non ci servi più," mormorò con tono quasi affettuoso, come una madre che annuncia una punizione inevitabile. Sollevò la mano intrisa di fumo, un dardo necrotico sfrigolante pronto a colpire. Senza esitazione, lo scagliò con precisione letale.

La testa dell'arcanista esplose in una nube oscura e putrescente, il suo corpo collassò sulla sedia come un burattino a cui avessero tagliato i fili.

Si avviarono, ma prima che potessero lasciare la tenda, un suono terribile li bloccò. Uno schiocco umido, come qualcosa che si spezzava e si contorceva nel liquido. I due si voltarono e videro il corpo dell'arcanista contorcersi in modo innaturale, le membra ritirarsi e raggrinzirsi mentre il sangue veniva strappato via, confluendo in un vortice innaturale sopra di lui.

"Che diavolo è questo?" ringhiò Kethmer, istintivamente alzando i pugni, sebbene fosse consapevole dell'inutilità di quel gesto. Davanti ai loro occhi, il sangue si raccolse in una forma vagamente umanoide, una creatura di liquido pulsante e denso che sembrava respirare con il ritmo del cuore.

La creatura si girò verso di loro con una velocità disumana, emettendo un suono acuto e inquietante. Poi, con un movimento improvviso, spalancò ciò che sembrava essere una bocca e scagliò un cono di sangue verso i due. Kethmer, senza pensare, si frappose tra il getto e El, incrociando le braccia per proteggersi. Il sangue, tuttavia, non lo ferì. Lo drenò del sangue dalle cavità. Fu come se lo stesse assorbendo nella creatura, rendendola più grande, più possente.

"El, questa cosa si nutre!" gridò Kethmer, girandosi verso di lei. Ma El, già al riparo dietro di lui, aveva iniziato a lanciare colpi necrotici con precisione calcolata. Le sfere di energia colpivano la creatura, causando esplosioni di liquido che si disperdevano nell'aria prima di ritornare al corpo centrale.

"Colpito," disse El soddisfatta, il suo sorriso glaciale mentre continuava a bombardare la creatura. Ma la sua soddisfazione durò poco. La creatura, avendo assorbito i cadaveri attorno a loro, iniziò a rigenerarsi. Ogni colpo sembrava vanificato nel momento in cui veniva inflitto. Poi, senza preavviso, l'essere cominciò a lanciare dardi di sangue, proiettili rapidi e letali che trapassavano Kethmer come se fosse aria, ferendo El dietro di lui.

"Dannazione!" urlò Kethmer, sentendo i dardi passare attraverso di sé, conscio che non poteva proteggere El. Ma fu in quel momento che una voce familiare ruppe il caos.

"Ecco quando vale la pena di usare quel dardo!" dichiarò Torvax, comparendo al limite della tenda, con la sua balestra già carica. Senza attendere, il nano puntò e sparò. Il dardo si conficcò nel centro della creatura con un sibilo acuto, e un istante dopo esplose in un boato di frammenti liquidi e scarlatti.

L'esplosione fu potente, e Kethmer si girò istintivamente verso El, coprendola con il proprio corpo. Sentì il sangue bollente bruciare la sua pelle mentre lo attraversava, ma strinse i denti, ignorando il dolore. Quando la nube di sangue si dissipò, la creatura non era più.

"Ecco fatto," commentò Torvax con un ghigno soddisfatto, ricaricando la balestra. "A volte servono le maniere forti."

Kethmer si rialzò lentamente, il sangue già cominciava a rigenerarsi e chiudere le ferite, ma i suoi occhi erano puntati su El. Lei si scosse la polvere dai vestiti, guardandolo con il suo solito sguardo imperturbabile.

"Sei un buon scudo, elfo," disse con un sorriso appena accennato. "Ma la prossima volta, ricordati che non è necessario sacrificarti. Posso gestirla anche da sola."

Kethmer rise piano, il dolore della rigenerazione ancora vivo. "E tu ricordati che non sei invincibile. Ti proteggo, che ti piaccia o no."

Torvax alzò gli occhi al cielo. "Io vado a cercare qualcosa da saccheggiare."

El zoppicava visibilmente, un buco nella gamba lasciato dai dardi di sangue della creatura. Ogni passo era accompagnato da un'espressione di rabbia repressa più che di dolore. Si avvicinò al cadavere dell’arcanista ormai rinsecchito e con mani tremanti raccolse un amuleto. Lo studiò attentamente, tenendolo davanti agli occhi mentre mormorava.

"Questo..." iniziò, passandolo tra le dita. "Assomiglia vagamente all'amuleto che abbiamo trovato sul negromante nel deserto. Ma qui c'è qualcosa di diverso... un'energia più caotica, più... sanguinaria. Ematomanzia." Alzò lo sguardo verso Kethmer. "Maria sta scavando in ogni arte oscura possibile per raggiungere i suoi scopi. Non si fermerà davanti a nulla per controllare tutto."

Kethmer si avvicinò, guardandola con un misto di preoccupazione e rispetto. "Lascia stare quella cosa. È ora di andarcene," disse, porgendole una mano. El accettò l’aiuto, appoggiandosi a lui mentre l’amuleto scivolava nella sua tasca. "Non pensavo ti importasse tanto della mia gamba," mormorò con il suo solito sarcasmo.

"Non è per la gamba," rispose Kethmer secco. "Se crolli tu, siamo tutti fregati."

Pochi minuti dopo, Torvax tornò tutto contento, le braccia colme di anelli, sacchetti di monete e persino qualche filatterio. "Guarda qua," esclamò con un ghigno, lasciando tintinnare le monete nelle sue tasche. "Siamo diventati ricchi, amici. E questi..." sollevò i filatteri con un ghigno ancora più largo, "Lady Amadia ci pagherà un extra per questa roba."

"Se siamo ancora vivi dopo tutto questo, direi che almeno il bottino è meritato," commentò Kethmer. "Andiamo."

Il viaggio verso la città fu lento. Kethmer si assicurava che El camminasse senza peggiorare la ferita, anche se lei protestava più volte. Giunti alla taverna, Bum Bum li accolse con un cenno distratto mentre Lady Amadia li aspettava con il solito sguardo freddo. Il ghigno di Torvax, però, era inarrestabile mentre scaricava sul tavolo i filatteri raccolti.

"Avete superato le aspettative," disse Amadia osservando i filatteri e passando un sacchetto di monete a Torvax. "Ecco il bonus. Ora sparite, non voglio che la vostra presenza qui attiri troppa attenzione."

"Sempre un piacere fare affari," disse Torvax con un inchino sarcastico, raccogliendo il denaro. Il gruppo si diresse verso il cerchio magico fuori città, pronto a tornare alla torre.

El, nonostante il sangue che gocciolava dalle sue ferita, si preparò a lanciare l'incantesimo. "Sei sicura di essere in grado?" chiese Kethmer con tono preoccupato.

"Non farmi domande stupide," rispose lei, stringendo i denti. Iniziò a recitare le formule, raccogliendo il fumo che si avvolgeva attorno a loro. Un istante dopo, si ritrovarono nella stanza del cerchio della torre.

Appena arrivati, El sputò sangue e crollò quasi sulle ginocchia. Le pedine e le figure nella stanza si voltarono, osservando la scena con stupore e inquietudine. Kethmer l'afferrò prima che potesse cadere, portandola di peso fuori dalla stanza. "Chiamate Grimvald," ordinò a una pedina di passaggio, la voce ferma.

Portò El nella sua stanza, dove lei si lasciò cadere sul letto. Poco dopo, Grimvald arrivò con i suoi strumenti. Kethmer uscì, lasciando l’alfiere a occuparsi della ferita, e si diresse con Torvax verso i piani superiori per incontrare il re.

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Di fronte al re e alla regina, Kethmer e Torvax riferirono con precisione tutto ciò che avevano scoperto.

Gli arcanisti del censimento erano organizzati in campi lungo i confini. Ogni campo raccoglieva filatteri legati a un'area specifica, centralizzando le informazioni magiche in punti strategici. Velaris era solo uno dei numerosi avamposti.

Il capo arcanista aveva confermato che Venetia era sorvegliata con particolare attenzione. Maria aveva inviato unità d'élite per assicurarsi che i Traduttori non potessero riorganizzarsi facilmente. Le strade erano pattugliate e la cittadella quasi inaccessibile.

Le terre degli Orchi e dei Mesvet erano ostili all’idea del censimento, vedendolo come un'invasione culturale e politica. Tuttavia, alcune città umane più vicine ai confini avevano accettato il sistema, attratte dalla promessa di protezione dell’imperatrice.

I filatteri venivano trasportati periodicamente in una fortezza centrale situata nei pressi di Lutmira, la capitale dell'impero.

L’arcanista non conosceva i dettagli, ma era certo che Maria avesse studiato arti oscure e proibite. Si vociferava che avesse risvegliato qualcosa di antico, una forza legata ai Celesti o persino agli Orgaal.

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Il re ascoltò in silenzio, gli occhi fissi sui due. Quando ebbero finito, si voltò verso la regina, che rimase immobile sul suo trono. Dopo un lungo silenzio, il re parlò.

"Avete fatto bene. Ma il lavoro è solo all'inizio. I vostri sforzi non passeranno inosservati." Fece un cenno di congedo, e i due lasciarono la stanza.

Kethmer, ancora con il fischio che gli ronzava in testa, sapeva che non sarebbe finita lì.

Kethmer si diresse direttamente alla stanza di El. Sentiva il fischio farsi più insistente, e per quanto la missione fosse stata un successo, una parte di lui era inquieta. Arrivato alla porta, bussò delicatamente. Grimvald aprì con un’espressione seria.

"Sta meglio," disse lo gnomo. "Le ferite non erano gravi, ma ha speso troppo fumo nel lanciare quel teletrasporto. Ha bisogno di riposare." Kethmer fece un cenno d’assenso, entrando piano.

El era distesa sul letto, la pelle ancora pallida, ma gli occhi aperti e vigili. Lo guardò, alzando un sopracciglio. "Non ti è bastato fare l’eroe durante la missione? Ora vuoi anche fare il mio infermiere?"

Kethmer sorrise appena, sedendosi su uno sgabello accanto al letto. "Solo assicurarmi che quella tua lingua velenosa sia ancora attiva. Sembra che tu stia bene."

"Bene quanto basta per ricordarti che sono io a rischiare il culo ogni volta a differenza tua, immortale" rispose lei, il tono pungente ma senza vera malizia.

"Già," mormorò Kethmer, abbassando lo sguardo. "Ma hai fatto un ottimo lavoro."

El si zittì, sorpresa da quel tono sincero. Poi distolse lo sguardo, fissando il soffitto. "Lo so."

Mentre lasciava la stanza, Kethmer non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine della creatura di sangue e le ultime parole del capo arcanista. Ogni passo verso la sua camera era accompagnato dal ronzio del fischio, che sembrava sussurrargli verità che non voleva ascoltare. Ma una cosa era certa: Maria stava costruendo qualcosa di molto più grande di quanto immaginassero, e il tempo per fermarla stava rapidamente esaurendosi.

Sapeva che avrebbero dovuto affrontare altre battaglie, e che ogni missione li avrebbe avvicinati a un abisso sempre più profondo. Quella notte, mentre si sdraiava sul letto, il fischio sembrò placarsi per un attimo. Ma sapeva che non sarebbe durato. Nulla, nel loro mondo, durava mai.