Le ore di quiete nella stanza di Kethmer furono spezzate da un colpo alla porta. La torre lo aspettava fuori, lo sguardo grave, e con poche parole lo invitò a seguirlo. Le scale dell’edificio sembravano più lunghe quella sera, i passi risuonando nel silenzio carico di attesa. Mentre salivano, incontrarono l’alfiere, il piccolo gnomo con i suoi modi meticolosi, e al suo fianco El, che manteneva un’aria apparentemente indifferente, ma le cui dita tamburellavano ritmicamente contro la gamba, come a tradire un nervosismo sotterraneo.
Senza parole, il gruppo salì insieme, un silenzio teso che non osavano spezzare.
Alla fine giunsero a uno stanzone ampio e spoglio, dominato dalla presenza della regina, seduta immobile sullo sfondo. La sua figura era un monumento di maestà oscura, la maschera inespressiva che rifletteva la luce tremolante delle candele. Di fronte a lei, con le braccia conserte, si ergeva il cavaliere nero, un gigante d’ombra e acciaio, la sua figura che pareva scolpita nell’oscurità stessa. Accanto a lui, in piedi come statue, c’erano il cavallo, la Mesvet che Kethmer aveva intravisto di sfuggita nei giorni precedenti, e Torvax, il nano tatuato, il cui volto era una mappa di cicatrici e storie non raccontate.
El si irrigidì al vedere la Mesvet, il corpo scattante come una corda tesa. Kethmer, invece, osservò la scena con un misto di confusione e curiosità. Le tre figure si schierarono accanto al re, completando un quadro che sembrava quasi rituale.
“Siete stati convocati,” iniziò il cavaliere nero, la sua voce risonante come il rintocco di una campana, “perché siete stati giudicati degni di salire di ruolo.”
Le parole caddero pesanti come pietre, rimbalzando sulle pareti dello stanzone. Il re proseguì, spiegando che, a seguito della catastrofe, molte figure chiave dei traduttori del silenzio erano scomparse, e che nuovi membri dovevano occupare quelle posizioni vacanti. “Ma non si tratta solo di sostituire chi è venuto a mancare,” precisò, “è una questione di meritocrazia e necessità. I vostri addestramenti e le vostre capacità determinano chi siete, e chi potrete diventare.”
Il cavaliere spiegò poi la filosofia che guidava la struttura delle squadre: una torre, il corpo; un alfiere, la mente; un cavallo, l’ombra di entrambi. Tre ruoli intrecciati in una danza letale di forza, strategia e furtività.
“La vostra prova,” annunciò il re, “sarà un contratto congiunto, diretto dalla regina stessa.” Si voltò lievemente, il metallo della sua armatura che rifletté un barlume di luce verso la figura maestosa dietro di lui. La regina, senza dire una parola, sollevò appena una mano guantata, quasi a benedirli, poi la lasciò ricadere sul bracciolo del trono.
Lo gnomo alfiere avanzò, attirando l’attenzione di tutti con un gesto lento ma deciso. “Prima che partiate,” iniziò, la sua voce misurata ma carica di sottintesi, “è necessario che sappiate cosa affronterete.”
Con un movimento rapido, disegnò un simbolo nell’aria con il dito, e una proiezione di fumo prese forma davanti a loro. Le sagome tremolanti di spettri di vetro, creature sottili e frastagliate, si manifestarono.
“Queste sono le entità che chiamate spettri di vetro,” spiegò. “Spiriti del rancore, nati dalla maledizione di Dolor e dalla sua terra morta. Si riproducono assorbendo le anime dei defunti in questo deserto, raccogliendole attorno a un unico oggetto di concentrazione che chiamiamo Nido di Vetro.”
“Il vostro compito è semplice in apparenza,” continuò lo gnomo, il tono che si fece più grave. “Individuare il nido e distruggerlo. Ma sappiate che non sarà un’impresa facile. I nidi sono protetti da legioni di queste creature, e solo armi magiche possono ferirle. Vi forniremo ciò di cui avrete bisogno.”
Estrasse una bussola magica, il cui ago si muoveva incessantemente, come attratto da una forza invisibile. “Questa bussola vi guiderà verso il nido.” Poi aggiunse, “Sarete forniti di razioni sufficienti per una settimana. E per quanto riguarda le vostre armi... fateci sapere cosa desiderate. Io e gli altri alfieri le infonderemo di magia, preparandole per il viaggio.”
Lo gnomo fece un passo indietro, osservando i tre convocati con uno sguardo attento, aspettando le loro richieste. L’aria era carica di tensione, ogni parola un peso che avrebbe potuto spezzare il silenzio.
L'atmosfera nella sala sembrava ispessirsi con ogni richiesta pronunciata. Kethmer fu il primo a parlare, la sua voce ferma ma priva di ornamenti, richiese una spada simile a quella con cui si era allenato, con la stessa lunghezza e bilanciamento che ormai aveva imparato a dominare. Non c’era esitazione nelle sue parole, ma neanche alcun segno di vanità. Era una richiesta pratica, funzionale.
El alzò lo sguardo dal pavimento, un sorrisetto sprezzante che le curvava appena le labbra. “Non ho bisogno di armi,” dichiarò con la sua solita aria di superiorità. La sua sicurezza era palpabile, quasi fastidiosa, ma nessuno osò replicare, nemmeno l’alfiere, che si limitò a scrutarla con un’espressione indecifrabile.
Quando toccò a Torvax, il nano tatuato si fece avanti con un ghigno che sembrava scavare solchi ancora più profondi nel suo volto segnato. “Pugnali infusi,” iniziò, le sue parole che risuonavano come colpi di scalpello, “una balestra piccola, una di quelle armi da fuoco dei goblin...” Si fermò un attimo, vedendo l’alfiere sollevare un sopracciglio interrogativo.
“Intendi una pistola?” chiese lo gnomo, la voce piatta, quasi sfidandolo.
Torvax annuì con entusiasmo, il ghigno che si allargava come una crepa su una roccia. “Sì, sì, una pistola. E poi, bombe di polvere nera. E, se non è troppo disturbo, una fiala di veleno. Per me stesso, nel caso le cose vadano male.” La sua voce non tradiva ironia, solo una brutale sincerità che fece calare un silenzio sconcertante nella stanza.
L’alfiere, visibilmente perplesso ma stranamente compiaciuto, annuì lentamente. Il suo sguardo scivolò verso il cavallo, la Mesvet, che osservava tutto con una compostezza glaciale. Era chiaro che riconosceva in Torvax qualcosa di familiare, un’ombra della donna con cui aveva collaborato in passato.
Dopo aver annotato mentalmente le richieste, l’alfiere si girò verso il gruppo, la voce che risuonò ferma e definitiva. “Preparatevi. Avrete il tempo di sistemare i vostri affari e di riflettere su ciò che vi attende. Noi ci occuperemo di fornirvi tutto il necessario.”
Le figure presenti si dispersero con un ordine implicito, lasciando i tre convocati con il peso della missione imminente. Kethmer sentiva il fischio nelle orecchie tornare, un sibilo che non lo avrebbe lasciato in pace, ma che ora sembrava accompagnato da una strana consapevolezza: era destinato a questa follia.
L’alfiere li accolse nel salone principale, avvolto in una tunica pesante e con una calma quasi innaturale. Su un tavolo di pietra, tre set di equipaggiamenti erano ordinatamente disposti. Con gesti precisi e metodici, consegnò a ciascuno ciò che avevano richiesto.
A Kethmer porse una spada lunga, affilata e perfettamente bilanciata, il metallo che sembrava emettere un riflesso pallido anche sotto la luce opaca di Dolor. La lama portava incisi sottili segni gravitazionali che sembravano pulsare leggermente al tocco. “Non è identica alla tua lama d’allenamento,” spiegò l’alfiere con tono neutro, “ma la troverai altrettanto affidabile.”
El ricevette un semplice anello argenteo, privo di decorazioni. “Non è solo un accessorio,” le disse lo gnomo, quasi con un sorriso appena accennato. “Aumenterà la tua affinità con il fumo. Non sottovalutarlo.” Lei lo accettò con uno sguardo freddo, ma lo infilò al dito senza una parola.
Torvax ricevette l’intero arsenale che aveva chiesto: una coppia di pugnali, una balestra compatta, una pistola dall’impugnatura elaborata, e un piccolo assortimento di granate e veleni. L’alfiere lo fissò con aria di avvertimento. “Non perdere il controllo,” mormorò. Torvax ghignò, il peso dell’arsenale che sembrava rinvigorirlo piuttosto che rallentarlo.
Terminata la consegna, l’alfiere li condusse fuori, il gelo di quell’eterno mezzogiorno ad avvolgerli con morsi sottili e persistenti. La sabbia brillante sembrava quasi riflettere il sole gelido, un paesaggio desolato e al tempo stesso ipnotico. Lo gnomo tirò fuori la bussola magica, l’oggetto che avrebbe guidato i loro passi. La sua cornice d’oro opaco era incisa con simboli criptici, e l’ago si muoveva con lentezza spettrale.
“Buona fortuna,” disse loro l’alfiere. La sua voce era calma, ma gli occhi rivelavano un’ombra di apprensione. “Evitate deviazioni. Non fatevi tentare da ciò che non vi appartiene. Qui tutto, anche il più piccolo errore, può portarvi a una brutta fine.”
El prese la bussola senza dire una parola, mettendosi alla testa del gruppo. Kethmer e Torvax la seguirono in un silenzio concentrato, il nano con una delle sue granate già legata alla cintura e pronta all’uso. I loro passi affondavano lievemente nella sabbia gelida, l’aria carica di tensione.
Camminarono per ore, il tempo che si dissolveva in quel paesaggio uniforme e ostile. La bussola era stabile all’inizio, puntando dritta verso la loro meta, ma poi cominciò a oscillare. L’ago si sbalzava avanti e indietro, confuso, come se qualcosa interferisse con la sua magia.
“C’è qualcosa,” disse El, il suo tono freddo ma con una sfumatura di allerta. I suoi occhi, sempre impenetrabili, sembravano scrutare il paesaggio in cerca di risposte.
Torvax si accigliò, il suo ghigno trasformato in un’espressione di cupa avidità. “Magari è qualcosa di potente da raccattare. Una reliquia. O qualcosa che vale oro.” Le sue mani si mossero inconsciamente verso i suoi pugnali, come a prepararsi.
El scosse la testa, la sua postura rigida. “O è qualcosa di pericoloso. Questi luoghi non offrono niente senza un prezzo.”
Kethmer, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, fece un passo avanti. “L’alfiere ha detto di non deviare,” disse con una voce ferma. Il suo tono portava una gravità che sembrava fuori luogo per una pedina. “Seguire la bussola. Evitare le tentazioni. È ciò che dobbiamo fare.”
Torvax lo fissò, incerto. La tentazione brillava nei suoi occhi, ma c’era anche un residuo di prudenza, un istinto di sopravvivenza che lo tratteneva. El rimase immobile, fissando la bussola come se stesse cercando di decifrarne il messaggio segreto.
Il gruppo rimase in sospeso, il destino che sembrava appeso a un filo sottile e fragile. L’oscillazione della bussola continuava, un ritmo irregolare che risuonava nel loro silenzio come il battito di un cuore nervoso.
Alla fine, la curiosità di El prevalse. Sospinta dalle insistenze di Torvax, accettò di deviare dal percorso indicato dalla bussola, sebbene con una nota di cautela. "Manteniamo le distanze," avvertì, il tono freddo come l'aria che li circondava. "Qualsiasi cosa sia, non abbassiamo la guardia."
Kethmer li seguì, il passo riluttante, la spada più lunga di lui appoggiata perennemente sulla spalla come un peso che non riusciva a scrollarsi di dosso. Il paesaggio era un mare di dune argentate, onde di sabbia che si estendevano fino all'orizzonte sotto il sole pallido e gelido.
Superarono diverse dune, il silenzio interrotto solo dal fruscio dei loro passi. Alla sommità di una collina di sabbia, si fermarono di colpo. Davanti a loro, inginocchiato come in preghiera, c'era uno scheletro avvolto in un'armatura nera e spinata. Le ossa, bianche come l'avorio, contrastavano con il metallo oscuro che le avvolgeva, creando un'immagine al contempo inquietante e affascinante.
Lo scheletro era rivolto verso il sole, le mani ossute poggiate sull'elsa di una spada conficcata nel terreno. Sembrava congelato in un atto di devozione eterna, un guerriero pietrificato nel tempo.
I tre rimasero a distanza, studiando la figura silenziosa. El fissava l'armatura con uno sguardo intenso, gli occhi che sembravano scavare attraverso il metallo e le ossa. "Quella è un'armatura del mio popolo," mormorò, la voce appena un soffio. "Precisamente, un'armatura di un corpo scelto di negromanti."
Torvax sollevò un sopracciglio, l'interesse accresciuto. "Negromanti, dici? Potrebbe avere qualcosa di valore addosso." Le sue mani si mossero istintivamente verso uno dei pugnali.
"Fermati," lo avvertì El, senza distogliere lo sguardo dallo scheletro. "Non sai con cosa hai a che fare. Queste armature non appartengono ai vivi né ai morti. Sono legate a magie antiche e pericolose."
Kethmer sentì un brivido lungo la schiena. Il fischio nella sua testa era tornato, più intenso, come se qualcosa stesse cercando di comunicare con lui attraverso quel suono incessante. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in quella scena, un'ombra che si allungava oltre il visibile.
"Dovremmo andare via," suggerì, la voce tesa. "Abbiamo già deviato abbastanza. Questo luogo non ci porterà nulla di buono."
El annuì lentamente. "Hai ragione. Non possiamo permetterci distrazioni." Ma proprio mentre si preparavano a voltarsi, un leggero scricchiolio riempì l'aria. Le ossa dello scheletro si mossero impercettibilmente, la testa che si sollevò di un millimetro.
"Avete sentito?" sussurrò Torvax, gli occhi spalancati.
Il silenzio cadde su di loro come una coltre pesante. Lo scheletro rimase immobile per un istante, poi un bagliore azzurro si accese nelle orbite vuote, una luce fredda e spettrale.
"Sta tornando in vita," mormorò El, il tono urgente. "Prepariamoci."
Kethmer strinse l'elsa della spada, il cuore che batteva all'impazzata. Le dune attorno a loro sembravano avvicinarsi, il mondo restringersi mentre il guerriero morto si alzava lentamente, il metallo dell'armatura che scricchiolava con suoni stridenti.
If you encounter this narrative on Amazon, note that it's taken without the author's consent. Report it.
Il sole gelido proiettava ombre lunghe, e l'aria si riempì di una tensione palpabile. La creatura alzò la spada, puntandola verso di loro, e una voce cavernosa echeggiò nel silenzio, parlando una lingua antica che sembrava fatta di sussurri e lamenti.
El tradusse rapidamente, il volto pallido. "Dice: 'Chi osa disturbare il riposo degli eletti sarà giudicato.'
Torvax deglutì, ma un sorriso nervoso apparve sul suo volto. "Beh, almeno sappiamo che non è amichevole."
"Non è uno scontro che possiamo vincere," avvertì El. "Dobbiamo ritirarci, ora."
Ma la creatura non intendeva lasciarli andare. Con un movimento sorprendentemente veloce, iniziò ad avanzare verso di loro, la spada che emanava un'aura oscura.
Kethmer si preparò, sapendo che non c'era più tempo per fuggire. La battaglia era inevitabile, e il loro destino sarebbe stato deciso su quella duna desolata, sotto il sole freddo di Dolor.
La creatura avanzava con una velocità spaventosa, un fumo oscuro che fuoriusciva dalla bocca scheletrica e avvolgeva il suo corpo in un'aura sinistra. Kethmer si lanciò in avanti con un balzo, mentre un dardo di balestra scoccato da Torvax e un proiettile necrotico lanciato da El sibilavano accanto a lui. Entrambi gli attacchi colpirono lo scheletro, ma si dissolsero all'istante, assorbiti dal fumo che lo circondava.
Lo scheletro eseguì un salto carpiato con sorprendente agilità, superando Kethmer e puntando direttamente su Torvax. La spada dell'essere calò con forza, ma Kethmer, intuendo il pericolo, manipolò rapidamente il fumo magico per creare una deformazione gravitazionale, spostando leggermente la traiettoria del colpo. La lama mancò di poco il nano, che sussultò sentendo la pelle bruciare al contatto con l'aura malefica della creatura.
Torvax, con un rapido incantesimo, si teletrasportò a una distanza sicura, mentre El lanciava un altro proiettile magico contro lo scheletro. Tuttavia, l'attacco si rivelò inutile, dissolvendosi prima di raggiungere il bersaglio. Kethmer si avventò di nuovo, sferrando un potente fendente con la sua spada, ma lo scheletro parò facilmente l'attacco con il suo spadone. Anche Kethmer avvertì una bruciatura sulla pelle, segno che l'aura oscura danneggiava chiunque le si avvicinasse.
I tre compresero rapidamente la situazione: l'aura non solo infliggeva danni a chi si avvicinava, ma neutralizzava anche gli attacchi convenzionali. Il guerriero non morto rivolse le sue orbite vuote verso El, e una voce cavernosa echeggiò nell'aria:
"Traditrice! Ti allei con un elfo, nemico del nostro popolo. Sarai giudicata per il tuo tradimento."
El serrò la mascella, mentre Kethmer la guardava con preoccupazione. Il tempo stringeva, e la creatura non dava loro tregua.
"Ho un'idea!" esclamò Kethmer, rivolgendosi ai suoi compagni. "Distraitelo il più possibile!"
Senza attendere risposta, iniziò a concentrare il fumo magico su se stesso, recitando sottovoce un incantesimo di volo. Le sue mani brillavano di un'energia pulsante, mentre sentiva il corpo alleggerirsi. Nel frattempo, El e Torvax intensificarono i loro attacchi, cercando di tenere impegnato lo scheletro.
El creò una serie di illusioni, duplicando la sua figura per confondere l'avversario. Torvax, con un ghigno feroce, lanciò una granata di polvere nera ai piedi della creatura. L'esplosione sollevò una nuvola di sabbia e fumo, ma lo scheletro emerse indenne, gli occhi ardenti di collera.
Kethmer si sollevò in aria, raggiungendo un'altezza considerevole. Il sole gelido di Dolor illuminava la sua figura, mentre puntava lo sguardo verso il basso, concentrandosi sul bersaglio. Sentiva il fumo magico pulsare dentro di sé, alimentando sia il suo potere che il fischio incessante nella sua mente.
Con un grido di determinazione, si scagliò in picchiata, stringendo saldamente la spada. La velocità della caduta aumentava, l'aria sibilava attorno a lui. El e Torvax si resero conto del suo piano, arretrando rapidamente per lasciare spazio.
Lo scheletro alzò lo sguardo proprio mentre Kethmer stava per impattare. La spada di Kethmer perforò l'armatura nera, attraversando il petto della creatura e conficcandosi profondamente nel terreno sottostante. Un'onda d'urto si propagò dal punto di impatto, sollevando sabbia e fumo in tutte le direzioni, le sue gambe si ruppero all’impatto con il terreno.
Per un istante, il tempo sembrò fermarsi. Poi, l'aura oscura attorno allo scheletro cominciò a vacillare, crepitando come fiamme morenti. La creatura emise un urlo disumano, mentre crepe luminose si aprivano lungo la sua armatura. Con un'esplosione di energia, lo scheletro si frantumò, le ossa e i frammenti di metallo che si dissolsero nel nulla.
Kethmer rimase inginocchiato, il respiro affannoso e la spada ancora piantata nel suolo. Sentiva il corpo intorpidito, le bruciature sulla pelle che pulsavano di dolore. El e Torvax si avvicinarono di corsa.
"Folle!" sbottò Torvax, ma non riuscì a nascondere un sorriso di ammirazione. "Ma è stato dannatamente efficace."
El gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi. "Hai rischiato la vita," disse con tono serio, ma nei suoi occhi brillava un rispetto nuovo. "Ma ci hai salvati."
Kethmer annuì debolmente. "Non c'era altro modo," mormorò. "Dovevamo eliminarlo prima che ci annientasse."
I tre si guardarono attorno, assicurandosi che non ci fossero altre minacce imminenti. Il luogo dello scontro era ora silenzioso, le dune di sabbia lentamente tornavano alla loro immobilità.
El si avvicinò ai resti dell'armatura, notando qualcosa che brillava debolmente tra la sabbia. Raccogliendolo, scoprì un amuleto antico, inciso con simboli del suo popolo.
"Potrebbe esserci utile," disse, mostrandolo agli altri. "Forse ci aiuterà a comprendere meglio ciò che stiamo affrontando."
Torvax annuì, riponendo le sue armi. "Bene, ora che abbiamo avuto la nostra dose di avventura extra, direi di tornare alla missione principale."
Kethmer si rialzò completamente, recuperando la spada. "Giusto. Dobbiamo trovare il nido di vetro."
El consultò la bussola magica, notando che l'ago aveva ripreso a puntare stabilmente in una direzione. "Sembra che l'interferenza sia sparita. Possiamo proseguire."
Senza ulteriori indugi, il gruppo riprese il cammino, più unito e consapevole dei pericoli che li attendevano. Il sole gelido continuava a splendere sopra di loro, mentre le dune si estendevano infinite all'orizzonte.
La battaglia appena affrontata aveva rafforzato il loro legame, e nonostante le differenze, sapevano di poter contare l'uno sull'altro. La strada era ancora lunga, ma erano determinati a portare a termine la missione affidata loro.
Il sole pallido di Dolor proiettava ombre allungate sulle dune, mentre i tre avanzavano in silenzio. La bussola magica puntava decisa verso l'ignoto, l'ago che vibrava con impazienza, come se sapesse che la meta era ormai vicina.
"Siamo quasi arrivati," disse la ragazza dagli occhi gelidi, fissando l'orizzonte con uno sguardo imperscrutabile.
"Meglio così," borbottò il nano, aggiustando il peso delle armi sulla schiena. "Non vedo l'ora di concludere questa faccenda."
L'elfo camminava leggermente più avanti, i sensi all'erta. Il fischio nella sua mente si era intensificato, un sussurro costante che sembrava provenire dalle profondità del deserto stesso.
All'improvviso, un freddo innaturale avvolse l'aria. Davanti a loro, la sabbia cominciò a muoversi, formando vortici sinuosi che si alzavano come spirali di fumo. Da quei turbinii emersero figure evanescenti, spettri fatti di frammenti di vetro che riflettevano la luce in mille colori.
"Ecco gli spettri di vetro," mormorò la ragazza, gli occhi che brillavano di una strana luce. "Preparatevi."
Gli spettri avanzarono, emettendo suoni sibilanti che ricordavano il tintinnio di cristalli infranti. L'elfo sentì le parole nelle orecchie, una lingua antica e dimenticata che stranamente comprendeva.
"Abominio," sussurrarono gli spettri, le voci cariche di odio. "Tu che sfidi la morte stessa, non hai posto qui."
"Non dovresti esistere," aggiunsero altre voci, sovrapponendosi in un coro sinistro. "Il tuo essere è una blasfemia."
L'elfo strinse la spada, sentendo una rabbia crescente montare dentro di sé. "Non siete voi a giudicarmi," rispose nella stessa lingua, la voce che usciva come un ringhio. "Io sono ciò che sono."
Il nano lo guardò di lato, sorpreso. "Con chi stai parlando?" chiese, lanciando uno sguardo preoccupato agli spettri.
"Non importa," intervenne la ragazza, "state pronti a reagire."
Gli spettri si lanciarono contro di loro, un'ondata scintillante che sembrava infinita. Ogni volta che ne abbattevano uno, altri due emergevano dalla sabbia, come se il deserto stesso fosse contro di loro.
"Formate un cerchio!" ordinò la ragazza, la voce tagliente come un coltello. "Dobbiamo resistere fino a quando non troviamo il nido."
La sabbia sotto i loro piedi iniziò a muoversi, tentacoli granellosi che cercavano di afferrare le loro gambe, rallentando i movimenti. Il nano, con la sua astuzia, lanciò una delle sue granate, creando un'esplosione che disperse temporaneamente gli spettri più vicini.
"Non possiamo continuare così!" gridò il nano. "Dobbiamo trovare quella maledetta cosa e distruggerla!"
"Sta sotto la sabbia," rispose la ragazza, gli occhi che scrutavano frenetici l'ambiente circostante. "Si muove continuamente. Dobbiamo costringerla a emergere."
L'elfo, coperto di tagli e schegge di vetro che gli penetravano nella carne, sentiva il dolore bruciare, ma ogni ferita si richiudeva quasi immediatamente, lasciando solo una scia di sangue rappreso. La sua furia cresceva, alimentata dal disprezzo degli spettri.
"Sei solo un'ombra che si ostina a camminare tra i vivi," sibilò uno degli spettri, avvicinandosi abbastanza da fissarlo con occhi vuoti.
"Allora sarò l'ombra che vi annienterà," ribatté l'elfo, avanzando senza paura.
La ragazza notò un movimento sotto la sabbia, una piccola protuberanza che si spostava rapidamente. "Lì!" esclamò, puntando il dito. "È il nido! Dobbiamo colpirlo insieme!"
"Copritemi," disse il nano, caricando la balestra con precisione. "Ho un dardo speciale per questa occasione."
Gli spettri intensificarono l'assalto, cercando di proteggere il loro cuore nascosto. La sabbia si sollevava in muri improvvisi, cercando di separare i tre compagni.
La ragazza alzò le mani, evocando una tempesta di fumo che avvolse gli spettri, rallentandoli. "Fate in fretta!" gridò.
L'elfo scattò in avanti, usando la spada come un faro di energia, fendendo gli spettri che cercavano di fermarlo. Ogni colpo risuonava come vetro infranto, i frammenti che si disperdevano nell'aria.
Il nano mirò con calma, nonostante il caos attorno a lui. "Ora!" esclamò, scoccando il dardo.
Il proiettile attraversò l'aria con un sibilo, colpendo la piccola bambola di pezza che si muoveva sotto la sabbia. Un urlo straziante riempì l'aria, mentre il nido di vetro veniva colpito al suo nucleo.
Gli spettri si fermarono per un istante, le loro forme tremolanti che perdevano consistenza. La ragazza colse l'opportunità, lanciando un incantesimo distruttivo che colpì il nido con forza.
"È il momento di finirla," disse l'elfo, concentrando tutta la sua energia nel prossimo attacco. Con un grido feroce, affondò la spada nel punto in cui si trovava il nido.
Una luce accecante esplose, e gli spettri emanarono un ultimo lamento prima di dissolversi nell'aria, come polvere portata via dal vento.
Il silenzio cadde sul deserto, interrotto solo dal sibilo del vento. I tre si guardarono, esausti ma vittoriosi.
"Ben fatto," disse la ragazza, il tono privo di emozione. "Abbiamo compiuto la missione."
"Speriamo che non ci siano altre sorprese," aggiunse il nano, riponendo la balestra.
L'elfo si guardò le mani, ancora coperte di tagli che si stavano lentamente rimarginando. Il fischio nella sua mente si era affievolito, ma le parole degli spettri continuavano a riecheggiare.
"Dobbiamo tornare," disse El.
"Concordo," rispose il nano. "Non è un luogo in cui vorrei passare più tempo del necessario."
I tre si incamminarono, le dune alle loro spalle che sembravano osservare silenziose. Ognuno immerso nei propri pensieri, ma consapevoli che, nonostante le differenze, erano riusciti a superare una prova mortale.
Il deserto di Dolor rimaneva immutabile, ma qualcosa in loro era cambiato.
Il sole pallido di Dolor stava calando, tingendo il deserto di tonalità spettrali. I tre viandanti avanzavano verso la villa, le ombre allungate dietro di loro come spettri silenziosi. Il silenzio era rotto solo dal sibilo del vento che sollevava granelli di sabbia gelida.
All'ingresso, l'alfiere li attendeva, il piccolo gnomo con lo sguardo acuto e l'espressione imperscrutabile. Senza bisogno di parole, consegnarono ciò che restava del nido di vetro. L'alfiere annuì leggermente, gli occhi che brillavano di una soddisfazione contenuta.
Furono condotti all'interno, attraverso corridoi che sembravano più lunghi e freddi del solito. La villa era immersa in un'atmosfera irreale, come se il tempo stesso avesse rallentato il suo corso. Giunsero infine in una sala ampia e spoglia, dove la regina sedeva immobile sul suo trono oscuro, avvolta in veli che sembravano ondeggiare senza vento. Accanto a lei, il re stava come un'ombra possente, l'armatura nera che assorbiva ogni riflesso di luce.
"Avete dimostrato il vostro valore," dichiarò il re, la voce profonda che risuonava come un eco lontano. "Da questo momento, i vostri ruoli cambiano."
Si voltò verso l'elfo, fissandolo con occhi invisibili dietro l'elmo. "Tu sarai una torre: la forza e il baluardo." Poi guardò la ragazza dagli occhi di ghiaccio. "Tu diventerai alfiere: l'intelletto e la strategia." Infine, il suo sguardo si posò sul nano tatuato. "E tu sarai il cavallo: l'ombra e l'inganno."
Un silenzio solenne avvolse la sala. Le parole pesavano come pietre, segnando un passaggio irreversibile nelle loro vite.
"La regina desidera parlare con ciascuno di voi," aggiunse il re. "Separatamente."
L'elfo fu il primo ad avanzare, il cuore che batteva furiosamente. Il fischio nelle sue orecchie aumentava, un vortice sonoro che minacciava di sopraffarlo. Si fermò davanti alla regina, sentendo il peso del suo sguardo attraverso la maschera inespressiva.
La donna alzò una mano sottile, sfiorandogli il viso con una delicatezza inaspettata. Il tocco era caldo, rassicurante, e il fischio iniziò a dissolversi come nebbia al sole.
"Sei stato coraggioso," sussurrò, la voce melodiosa come un canto lontano. "Sono orgogliosa di te."
Quelle parole penetrarono nel profondo dell'elfo. Le lacrime iniziarono a scorrere, liberando emozioni represse da tempo immemore. Il fischio era svanito, lasciando spazio a una pace che non aveva mai conosciuto.
Si allontanò, il volto rigato dalle lacrime, ma con un nuovo fuoco negli occhi. La ragazza si avvicinò quindi alla regina, mantenendo la sua espressione impassibile.
"Non devi odiarti per ciò che non riesci a sentire," le disse la regina, la voce appena udibile. "Sei accolta per ciò che sei."
Gli occhi della ragazza si spalancarono leggermente, un'ombra di sorpresa attraversò il suo sguardo glaciale. Quando tornò dagli altri, fissava il vuoto con una freddezza ancora più intensa, ma una leggera tensione tradiva il tumulto interiore.
Il nano fu l'ultimo a presentarsi. La regina gli rivolse un lieve cenno, e con un sussurro che solo lui poteva udire, disse: "Hai fatto del tuo meglio per salvare tua figlia. Nessuno può chiederti di più."
Il nano serrò i pugni, gli occhi lucidi mentre lottava per trattenere le lacrime. Un peso sembrò sollevarsi dalle sue spalle, ma il dolore rimase inciso nel profondo.
Terminati gli incontri, il re riprese la parola. "Ora, una nuova missione vi attende. Insieme all'alfiere e alla torre," indicando rispettivamente lo gnomo e l'orco che erano stati loro mentori, "dovrete scortare me e la regina. Ci dirigeremo verso la Cittadella di Vetro Blu per ottenere il supporto dei diavoli."
Un mormorio sottile attraversò la sala. Il nome dei diavoli evocava timore e rispetto, esseri di grande potere ma dalle intenzioni imprevedibili.
"Un Cavallo ci attende lungo il cammino," proseguì il re. "La vostra abilità sarà cruciale per il successo di questa impresa."
I nuovi membri annuirono, consapevoli della responsabilità che gravava su di loro. Le loro storie personali si intrecciavano ora con il destino dell'intera organizzazione.
"Preparatevi a partire," concluse il re. "Il tempo è essenziale."
Mentre si allontanavano, l'elfo sentì una nuova determinazione crescere dentro di sé. Il fischio era scomparso, sostituito da una calma risoluta. La ragazza camminava al suo fianco, gli occhi fissi avanti, mentre il nano li seguiva in silenzio, il volto ombreggiato da pensieri profondi.
Il sole di Dolor sorgeva nel cielo straniero, proiettando una luce spettrale sul deserto infinito.