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Acufene [Italiano]
Capitolo XII: Verso una nuova casa

Capitolo XII: Verso una nuova casa

La carovana si mise in marcia dopo poche ore, le figure avvolte nei mantelli scuri che avanzavano sulla sabbia gelida di Dolor. La regina camminava al centro, a piedi nudi, lasciando impronte evanescenti che il vento cancellava subito dopo. Il suo gesto sembrava un rituale antico, una connessione silenziosa con quella terra ostile.

El camminava poco distante dall'alfiere gnomo, il suo sguardo rivolto all'orizzonte ma la mente immersa in pensieri profondi. Alla fine, decise di rompere il silenzio. "Ho portato con me l'amuleto che abbiamo trovato," disse, estraendolo con delicatezza. "Vorrei capire meglio cosa sia."

L'alfiere la osservò con un sorriso appena accennato. "Ora che siamo allo stesso grado," disse con tono pacato, "puoi chiamarmi per nome quando non siamo in presenza delle pedine. Sono Grimvald."

El annuì leggermente. "Piacere di conoscerti, Grimvald." Gli porse l'amuleto, un oggetto antico, inciso con simboli intricati e consumato dal tempo.

Grimvald lo prese tra le mani, esaminandolo attentamente. "Non mi sorprende che abbiate fatto una deviazione," commentò senza traccia di rimprovero. "Anzi, è una fortuna che abbiate recuperato questo manufatto."

"Sai di cosa si tratta?" chiese El, la curiosità che brillava nei suoi occhi.

"Ne ho analizzati di simili in passato," rispose lo gnomo. "È un canalizzatore armonico. Un amuleto creato per trasformare il portatore in un non morto dopo la morte, ma solo in presenza di nemici. Una sorta di ultima difesa."

"Quindi il negromante che abbiamo incontrato..."

"Probabilmente è morto di stenti, perduto nel deserto," concluse Grimvald. "Senza nemici attorno, l'amuleto è rimasto inerte."

Fece una pausa, osservando l'oggetto alla luce fioca del sole di Dolor. "Immagina l'effetto che potrebbe avere sul campo di battaglia," rifletté. "Uccidere un potente avversario e vederlo rialzarsi, costringendoti a combatterlo di nuovo. Una strategia che può seminare il caos tra le fila nemiche."

El sembrava leggermente delusa. "Quindi su di me non avrebbe alcun effetto."

"No," confermò Grimvald. "Questi amuleti sono sintonizzati sul singolo individuo. Ma rimane comunque un reperto storico di grande valore. Osservando la lavorazione, direi che risale a centinaia di anni fa. Potrebbe contenere informazioni preziose sulla magia del tuo popolo."

El annuì, assorbendo ogni dettaglio. "Grazie per le spiegazioni."

Il discorso si spostò poi sul Nido di Vetro. "Mi chiedevo," iniziò El, "come si stabilizzi l'energia su un oggetto come il Nido di Vetro. È possibile che un'essenza così potente si manifesti anche sul piano umano?"

Grimvald la guardò con interesse. "È una domanda complessa. Il Nido di Vetro funge da catalizzatore per energie residuali, spesso legate a emozioni negative come rancore e odio. Sul piano umano, la concentrazione di tali energie è diversa, ma non è impossibile che si manifestino fenomeni simili, soprattutto in luoghi carichi di sofferenza."

"Quindi, in teoria, potrebbero esistere Nidi di Vetro anche nel nostro mondo."

"In teoria, sì," confermò lo gnomo. "Ma sarebbero probabilmente meno potenti e più instabili. Qui, a Dolor, le leggi che governano la magia sono differenti, più fluide. Questo permette la creazione di entità e oggetti che altrove sarebbero impensabili."

Kethmer, che camminava poco distante, ascoltava con attenzione. Notava come El fosse in realtà molto più sapiente e assetata di conoscenza di quanto mostrasse normalmente. Durante le lezioni in gruppo, sembrava spesso distratta, come se nulla potesse stimolarla davvero. Forse, pensò, era la mancanza di sfide intellettuali a renderla così distante.

"Ti interessi molto di questi argomenti," osservò Grimvald, con una nota di approvazione nella voce.

"La conoscenza è potere," rispose El senza esitazione. "E in questo mondo, abbiamo bisogno di ogni vantaggio possibile."

Lo gnomo sorrise. "Una risposta saggia. Se desideri approfondire, potremmo discutere di alcune teorie sulla canalizzazione delle energie arcane. Ho condotto diversi studi a riguardo."

"Mi piacerebbe molto," disse El.

Kethmer continuava a osservarli, riflettendo su come le persone possano nascondere aspetti profondi di sé dietro maschere di indifferenza o arroganza. Forse, pensò, tutti loro avevano ancora molto da scoprire l'uno dell'altro.

La marcia proseguiva, il gruppo avanzava compatto. La regina camminava sempre a piedi nudi, le sue impronte sparivano quasi immediatamente, come se la sabbia non osasse trattenerle. L'orco e Torvax chiudevano la fila, attenti a qualsiasi pericolo potesse emergere dalle dune.

Mentre il gruppo avanzava attraverso le dune silenziose, Kethmer si avvicinò alla torre orco, approfittando di un momento di quiete. Aveva udito il discorso tra gli alfieri e la curiosità lo spingeva a saperne di più.

"Posso chiederti il tuo nome?" domandò, cercando di mantenere un tono rispettoso.

L'orco lo guardò di lato, gli occhi profondi che riflettevano la luce pallida di Dolor. "Mi chiamano Decimo, o semplicemente Dieci," rispose con voce roca.

Kethmer rimase sorpreso. "Dieci? È un nome insolito."

"Era il numero che mi era stato assegnato come schiavo," spiegò l'orco senza battere ciglio.

"Allora eri uno schiavo?" chiese Kethmer, sentendo un moto di compassione.

"Sì," confermò l'orco. "Nella mia società, il crimine di un individuo è considerato un crimine di famiglia. Quando mio padre commise un errore, io e mia madre fummo venduti come schiavi. Ci separarono, e da allora passai da un padrone all'altro."

Kethmer abbassò lo sguardo. "Mi dispiace. Deve essere stato difficile."

L'orco scosse la testa. "Non cercare di compatirmi. La nostra società è onesta, poco corrotta. Non è faziosa e contorta come quella umana. Accettiamo le conseguenze delle nostre azioni. Mio padre ha sbagliato, io ho sbagliato."

"E come sei finito qui, tra i traduttori?" chiese Kethmer, desideroso di comprendere meglio il suo compagno.

"Dopo anni trascorsi a lavorare nelle miniere e come manovale, fui venduto ai traduttori," raccontò l'orco. "Ma un giorno qualcosa in me si ruppe. Forse la noia, forse la volontà di cambiare il mio destino. Uccisi una pedina che servivo. Altre accorsero, e picchiai anche loro. Arrivarono le torri e gli alfieri, ma nei corridoi stretti avevano difficoltà a combattere. Io non avevo nulla da perdere."

Kethmer ascoltava affascinato e inquieto allo stesso tempo. "E poi cosa accadde?"

"Fu il re a fermarmi," disse l'orco, con un accenno di rispetto nella voce. "Bloccò tutti i miei avversari, gettò le armi a terra e ci prendemmo a pugni per ore. Alla fine, caddi al suolo. Pensavo che la mia vita fosse finita, ma invece mi offrirono una possibilità. Giorni dopo fui affiancato all'alfiere e al cavallo per la prova di salita di ruolo."

"Quindi è così che sei diventato una torre," commentò Kethmer.

"Esatto," annuì l'orco. "Per questo non mi sorprende che voi siate saliti di grado così rapidamente. A volte, è nelle situazioni estreme che dimostriamo il nostro vero valore.

Anche se, non tutti voi avete completato pochi lavori." Disse riferendosi a Kethmer e El.

L'orco si voltò verso il nano che camminava poco distante. "Tu, quanti contratti hai portato a termine da pedina?"

Torvax sorrise con orgoglio. "Ventisette contratti," rispose con tono soddisfatto.

"Siete un gruppo variegato, voi tre. Ognuno con una storia diversa, ma con un potenziale notevole."

Kethmer rifletté sulle parole di Decimo.

Il viaggio proseguiva sotto il sole immobile di Dolor, che continuava a splendere in un eterno mezzogiorno freddo e privo di ombre. Il gruppo avanzava in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. La sabbia sotto i loro piedi scricchiolava leggermente, un suono monotono che accompagnava il ritmo dei loro passi.

Ad un certo punto, una voce femminile si fece sentire alle spalle di Kethmer. Si voltò di scatto, la mano che istintivamente andava all'elsa della spada. Era Xerinni, la Mesvet cavallo, apparsa quasi dal nulla. La sua armatura nera contrastava con i lunghi capelli bianchi, e i suoi occhi penetranti sembravano scrutare l'anima di chiunque incrociasse il suo sguardo.

"Maestà," disse con rispetto, rivolgendosi al re e alla regina. "La Cittadella di Vetro Blu si trova a un giorno di cammino più avanti. Tuttavia, abbiamo un problema."

Fece un cenno al gruppo, invitandoli a seguirla fino alla sommità di una duna particolarmente alta. Da lì, il paesaggio si apriva in tutta la sua desolazione. In lontananza, si poteva vedere un enorme lago ghiacciato, che si estendeva per almeno un centinaio di metri. La superficie rifletteva la luce in modo innaturale, creando un effetto ipnotico ma inquietante.

Kethmer notò qualcosa di strano. Le dune attorno al lago sembravano muoversi, modificando il paesaggio in maniera impercettibile ma costante. Era come se l'intero terreno fosse vivo, in un perenne stato di metamorfosi.

"Quello è uno Spirito della Disperazione," commentò Grimvald, il tono lievemente preoccupato. "Una creatura antica e potente. Non è qualcosa da prendere alla leggera."

Decimo lasciò trapelare un'espressione di disprezzo, segno che forse aveva già avuto a che fare con simili entità in passato. "Sono esseri subdoli," disse. "Ti ingannano, ti portano alla follia se non stai attento."

El si avvicinò a Grimvald, l'espressione pensierosa. "Non possiamo semplicemente aggirarlo?" chiese.

"Potremmo," rispose l'alfiere gnomo, "ma ci costerebbe giorni di cammino aggiuntivo. E non è detto che lo Spirito non decida di seguirci. Sono entità territoriali, ma anche estremamente curiose."

"Possiamo distruggerlo?" domandò El, "Come abbiamo fatto con gli Spiriti del Rancore?"

Grimvald scosse la testa, osservando attentamente il lago ghiacciato. "Temo che non sia così semplice. Immagina una montagna capovolta sotto la sabbia. Quello che vediamo in superficie è solo una piccola parte della sua vera forma. Il nucleo dello Spirito si nasconde a profondità incredibili e può spostarsi di decine di metri in poco tempo. Attaccarlo sarebbe possibile, ma estremamente rischioso. Potremmo scatenare una reazione che non siamo in grado di controllare."

Kethmer fissò l'orizzonte, valutando le parole di Grimvald. Il pensiero di affrontare una creatura così potente gli provocava un brivido lungo la schiena. Il nano, Torvax, sembrava invece eccitato all'idea di una nuova sfida, ma anche lui comprendeva la gravità della situazione.

"Allora cosa facciamo?" chiese Decimo, rivolgendosi al re e alla regina.

Per un momento, il silenzio cadde sul gruppo. La regina alzò una mano, il gesto elegante e deciso. Senza proferire parola, fece cenno di proseguire. La sua volontà era chiara: avrebbero attraversato il territorio dello Spirito della Disperazione.

Il re annuì leggermente, confermando la decisione. "Procederemo con cautela," disse con tono autorevole. "Restate uniti e mantenete la concentrazione. Non lasciatevi ingannare dalle illusioni che potrebbero manifestarsi."

Il gruppo si rimise in marcia, dirigendosi verso il lago ghiacciato e il territorio dello Spirito della Disperazione. L'aria sembrava farsi più densa, carica di un'energia opprimente. Le dune attorno a loro continuavano a mutare, e una sensazione di inquietudine si insinuava nei cuori di tutti.

Ma la determinazione della regina era incrollabile, e con lei, anche quella del gruppo. Affrontare lo Spirito era un rischio, ma il tempo era prezioso, e la missione non poteva essere ritardata. Avrebbero sfidato l'ignoto, avanzando con coraggio verso il loro destino.

Il gruppo avanzava verso il limite del lago ghiacciato, che sembrava quasi avvicinarsi a loro come una presenza viva e minacciosa. Un vento gelido iniziò a soffiare, portando con sé sussurri echeggianti che sembravano provenire dalle profondità della loro mente. La regina guidava il gruppo, camminando a piedi nudi sul ghiaccio, come se il freddo e l'instabilità del terreno non la riguardassero.

Sotto la superficie lucida del ghiaccio, ombre indistinte si muovevano lentamente, creando l'illusione che qualcosa o qualcuno li osservasse dal profondo. Il ghiaccio scricchiolava leggermente ad ogni passo, dando la sensazione di essere in bilico su un velo sottile pronto a cedere da un momento all'altro.

Procedettero all'interno del lago, il silenzio rotto solo dai sussurri del vento e dai loro respiri controllati. Torvax si fermò un istante, fissando il vuoto con occhi gonfi, poi riprese a camminare senza proferire parola. La torre orco osservava attorno a sé, stringendo i pugni con rabbia repressa. Ogni emozione intensa sembrava incrinare ulteriormente il ghiaccio sotto i loro piedi, come se il luogo reagisse ai loro stati d'animo.

Kethmer sentì voci familiari risuonare nella sua mente. Erano i suoi vecchi compagni, che lo accusavano di essere la causa della loro fine. Abbassò lo sguardo, cercando di ignorarle, ma sotto il ghiaccio vide il volto dell'uomo che lo aveva cresciuto, che lo insultava per la sua inettitudine. Accanto a lui apparve il volto di una donna, che esprimeva odio e delusione nei suoi confronti.

Le lacrime iniziarono a scorrere, ma il freddo le congelò quasi immediatamente, provocando un dolore acuto. Il fischio nella sua mente aumentò di intensità, diventando quasi assordante. Sentì un piede sprofondare leggermente nel ghiaccio, il cuore che accelerava mentre cercava di ritrovare l'equilibrio.

La disperazione sembrava addensarsi verso il centro del lago, attirandoli come una calamita emotiva. Tutti erano visibilmente a disagio, tranne il re, la regina e le due mesvet silenziose che avanzavano senza alcun segno di esitazione, come se fossero immuni all'influenza del luogo.

Improvvisamente, la regina sussurrò una frase in una lingua oscura, comprensibile solo a pochi tra loro. Si scusò sommessamente con il gruppo, ammettendo che le era mancata quella sensazione. Poi alzò un dito, emanando un fumo tenue e luminoso che si diffuse rapidamente attorno a loro. Le ombre sotto il ghiaccio svanirono, i sussurri si dissolsero nel nulla, e una piacevole sensazione di calore si diffuse dietro le loro orecchie, come se fossero vicini a un focolare.

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Il gruppo riprese a camminare, ora sollevato dall'oppressione emotiva. L’elfo si chiese perché la regina non avesse lanciato prima quell'incantesimo, ma tenne per sé la domanda. Incuriosito da ciò che avevano appena vissuto, si avvicinò all'alfiere gnomo.

"Pensi che avremmo potuto sorvolare questo luogo usando la gravitomanzia?" chiese, cercando di capire se esistessero alternative meno rischiose.

L'alfiere lo guardò con attenzione, poi indicò il sole immobile nel cielo. "Volare in questo piano è estremamente pericoloso," rispose. "Sai cos'è quel sole?"

Il torre scosse la testa, incapace di dare una risposta. Fu El a intervenire. "Potrebbe essere uno Spirito della Disperazione ancora più grande," ipotizzò, "uno spirito incatenato al cielo stesso."

Grimvald annuì con soddisfazione. "Esatto. Secondo le leggende dei diavoli, un antico Orgaal—un'entità maligna ancestrale—imprigionò lo spirito nel cielo di questo piano. Crearono una fiamma che si rifletté sulla sabbia di vetro e poi su di lui, costringendolo a brillare per l'eternità. Volare significherebbe avvicinarsi troppo a quella presenza, con conseguenze imprevedibili."

Il gruppo comprese la gravità della situazione. Attraversare il territorio dello spirito era rischioso, ma aggirarlo avrebbe comportato giorni di cammino aggiuntivo e la possibilità di essere comunque seguiti o attaccati. La regina, senza aggiungere altro, fece cenno di proseguire, indicando che la loro decisione era presa.

Con rinnovata determinazione, avanzarono verso l'ignoto, consapevoli dei pericoli ma fiduciosi nelle proprie capacità. Il ghiaccio sotto i loro piedi sembrava ora più solido, e l'orizzonte si apriva davanti a loro, promettendo nuove sfide e misteri da svelare.

Il gruppo finalmente uscì dal lago ghiacciato, il gelo che sembrava allentare la sua presa man mano che avanzavano. Kethmer si voltò per dare un ultimo sguardo, e notò in lontananza un'ombra distinta dalle precedenti. Una figura con sei lunghe braccia, che sembrava esaminare le impronte lasciate sul ghiaccio. Un'aura misteriosa la circondava, diversa dalle presenze inquietanti che avevano affrontato prima.

La voce di Grimvald lo richiamò all'attenzione. "Ecco la cittadella."

Distolse lo sguardo dall'ombra; quando si girò di nuovo, la figura era scomparsa. Un brivido gli percorse la schiena, ma decise di non condividere l'osservazione con il resto del gruppo.

Salendo sulla sommità della duna che si ergeva davanti a loro, la vista che si aprì agli occhi di tutti fu mozzafiato. In lontananza, tre torri scintillanti si stagliavano all'orizzonte, come colonne di cristallo blu che sfidavano il cielo immobile di Dolor.

"Eccola," disse Grimvald con un tono solenne. "La Cittadella di Vetro Blu. Siamo a poche ore di cammino."

Mentre riprendevano il percorso, Grimvald si avvicinò al gruppo per impartire alcune raccomandazioni. "Quando incontreremo i diavoli, mantenete la calma e non alzate mai i toni della voce. Non apprezzano la belligeranza, anche se spesso usano un linguaggio affilato e provocatorio. Ricordatevi di ringraziare sempre, chinando il capo, anche se può sembrare superfluo. Il rispetto è fondamentale."

Decimo annuì. Torvax si limitò a sbuffare, ma lanciò uno sguardo d'intesa a Kethmer, consapevole dell'importanza delle istruzioni.

Man mano che si avvicinavano alle torri, la maestosità della cittadella diventava sempre più evidente. Le strutture erano fatte di un cristallo azzurro intenso, che rifletteva la luce in giochi di colori ipnotici. La regina si diresse senza esitazione verso una delle torri, seguita dal resto del gruppo.

Giunti di fronte al massiccio portone di cristallo, notarono che il battente aveva la forma di un volto umanoide con corna ricurve e un enorme anello al naso. Il re avanzò e bussò una sola volta, il suono che riecheggiò come un canto cristallino attraverso l'aria ferma.

Il volto del portone si animò, gli occhi di cristallo che si aprirono lentamente. In una lingua abissale, chiese con tono garbato: "Chi cerca ingresso nella dimora, e quale desiderio porta con sé?"

La regina rispose nella stessa lingua, la sua voce melodiosa che sembrava fondersi con l'aria. "Siamo qui per richiedere un'udienza con Al'Khalil Gibran Medel. Sono certa che ci stava aspettando." Notò come avesse evitato di pronunciare il proprio nome, forse per protocollo o per riservatezza.

Il portone emise un suono simile a un mormorio pensieroso. "Attendete un momento, prego." Poi, senza ulteriori indugi, il portone iniziò ad aprirsi, le due metà che si separavano con grazia, lasciando passare una luce calda dall'interno.

Entrarono in una stanza ampia e circolare, che li avvolse immediatamente con un'atmosfera accogliente e rassicurante. Il pavimento era coperto da tappeti riccamente decorati, e un focolare centrale irradiava un calore piacevole, le fiamme che danzavano dolcemente.

Le pareti erano adornate con arazzi intricati, raffiguranti scene di terre lontane e creature fantastiche. Cuscini di ogni forma e colore erano disposti armoniosamente sul pavimento, invitando al riposo. Su un lato della stanza, scaffali colmi di frutta esotica, pani fragranti e barilotti di bevande promettevano ristoro ai viandanti.

Nonostante l'ambiente fosse ricco di dettagli, nessuno era presente nella stanza. Una quiete rilassante pervadeva l'aria, interrotta solo dal crepitio del fuoco.

Una lunga scalinata curva si snodava lungo la parete opposta, conducendo ai piani superiori. Le scale erano fatte dello stesso cristallo blu, e sembravano quasi sospese nel vuoto.

"Accomodatevi" disse la regina, facendo un cenno al gruppo di avanzare.

Kethmer sentì una leggera tensione, ma anche una curiosità crescente. Il luogo era affascinante, lontano dalle desolazioni di Dolor a cui si erano abituati. El osservava attentamente ogni dettaglio, mentre Torvax cercava di nascondere la sua meraviglia dietro un'espressione indifferente.

La regina e il re iniziarono a salire le scale che conducevano ai piani superiori, mentre il resto del gruppo si sistemò sui cuscini sparsi nella stanza. Nonostante l'apparente comodità dell'ambiente, rimasero tutti vigili, consapevoli di trovarsi in un luogo pieno di incognite.

Improvvisamente, una donna molto alta scese lentamente le scale. Indossava una lunga veste e un velo che le avvolgeva i capelli, mentre una maschera neutrale con corna annesse, simile a quella della regina, le copriva il volto, rendendo impossibile identificarne l'età. La sua presenza emanava un'aura di tensione.

Avvicinandosi alla regina, la donna le diede il bentornato. "Al'Khalil ti sta aspettando," disse con un tono leggermente divertito. "Nel frattempo, intratterrò i tuoi ospiti." La regina annuì semplicemente, proseguendo senza aggiungere altro.

Mentre le passava accanto, la donna allungò una mano, raccogliendo delicatamente una ciocca dei capelli della regina. Con un sussurro appena udibile, fece un commento pungente, dicendole che con i capelli sciolti assomigliava a una prostituta. La regina proseguì senza reagire, ma Kethmer rimase colpito dall'interazione e notò che Grimvald si era girato a fissarla, come se avesse appena offeso qualcuno a lui caro.

La donna continuò a scendere le scale con passo lento e aggraziato, dirigendosi verso lo scaffale con le bevande e il cibo. Rivolgendosi al gruppo nel loro linguaggio, chiese cortesemente: "Posso offrirvi qualcosa da bere o da mangiare?"

La maggior parte di loro rispose con un educato "No, grazie", mantenendo un atteggiamento cauto. Torvax, invece, con un sorriso allegro e chinando il capo, disse: "Se c'è della birra, non direi di no. Ho bisogno di mandare giù la polvere del deserto!"

La donna sembrò compiaciuta dalla risposta del nano. Riempì un boccale direttamente da un barilotto e glielo portò, poi si sedette su un cuscino in mezzo a loro, la sua figura imponente che dominava la stanza.

"Permettetemi di presentarmi," disse con un leggero cenno del capo. "Mi chiamo Tahira Gibran Medel."

"È un onore conoscerla," rispose Grimvald, chinando leggermente il capo in segno di rispetto.

Tahira li osservò con occhi penetranti. "Avete avuto problemi a raggiungere questo luogo?"

"Il viaggio è stato impegnativo, ma siamo arrivati senza troppi intoppi," rispose El con tono misurato.

Tahira nascondendo un sorriso enigmatico dietro la maschera. "Ne sono lieta. Sembrate un gruppo piuttosto resistente."

C'era una nota sottile di ironia nelle sue parole, ma era difficile capire se stesse elogiando o mettendo alla prova i nuovi arrivati. Kethmer percepì una tensione latente nell'aria, come se ogni frase celasse un significato nascosto.

Torvax, dopo un lungo sorso di birra, commentò con entusiasmo: "Devo dire che questa birra è eccellente! Non mi aspettavo di trovare una tale prelibatezza in un luogo così remoto."

Tahira lo fissò con un sorriso leggermente più aperto. "Sono felice che sia di tuo gradimento. Qui alla Cittadella ci piace offrire il meglio ai nostri ospiti."

Decimo rimase in silenzio, osservando attentamente ogni movimento della donna. El, invece, sembrava intenta a studiare gli arazzi e le decorazioni della stanza, forse cercando indizi sulla cultura dei diavoli.

"Allora, raccontatemi di voi," disse Tahira, incrociando le mani in grembo. "Cosa vi porta in questi luoghi così lontani da casa?"

Il gruppo si scambiò sguardi cauti. Grimvald prese la parola con diplomazia: "Abbiamo attraversato il deserto per cercare consiglio e assistenza."

"Capisco," rispose Tahira, inclinando leggermente la testa. "E come vi sembra Dolor?"

"È un piano affascinante e al tempo stesso impegnativo," ammise Kethmer. "Richiede forza e adattabilità."

"Sagge parole," disse Tahira, gli occhi che brillavano di un interesse particolare. "Spero che troverete ciò che cercate."

Il silenzio calò per un istante, interrotto solo dal crepitio del fuoco. La presenza di Tahira era al contempo accogliente e inquietante, e il gruppo era consapevole che ogni parola poteva avere ripercussioni.

Mentre la regina e il re erano ancora nell'udienza al piano superiore, un suono distinto risuonò alla porta d'ingresso. Un lieve vociare si percepì dall'esterno, e poi il portone di cristallo si aprì lentamente, come se avesse una volontà propria.

Tre figure entrarono nella stanza. Due di esse erano umanoidi dall'aspetto insolito: linee luminose percorrevano i loro volti e i loro corpi, delineando tratti geometrici che conferivano loro un'apparenza quasi meccanica. Portavano pesanti casse, che maneggiavano con una facilità sorprendente, posizionandole con cura all'interno.

Davanti a loro camminava un Felit, un umanoide dall'aspetto felino. Il suo incedere era sicuro, le mani posizionate dietro la schiena in un gesto di composta autorità. I Felit erano una rarità al di fuori del loro continente occidentale, e la sua presenza catturò immediatamente l'attenzione di Kethmer.

Un ricordo affiorò nella mente di Kethmer, riportandolo a quando, da bambino, aveva visto per la prima volta un Felit nella sua città natale. La meraviglia che aveva provato allora si ripresentò, mescolata a un senso di curiosità e cautela.

Il Felit indossava vesti ampie e comode, dai tessuti pregiati e dai colori terrosi. Un turbante avvolgeva la sua testa, e da sotto la mantella spuntava un braccio completamente meccanizzato, le cui parti metalliche scintillavano alla luce del focolare. I suoi occhi erano due lenti circolari metalliche, da cui emanava una luce sinistra e penetrante.

Senza prestare attenzione agli ospiti, il Felit si avvicinò a Tahira con passo deciso. Dopo un profondo inchino, iniziò a parlare con lei in una lingua particolare, dal suono tribale e aspro. Le parole sembravano scivolare come sassi su una superficie ruvida, creando un ritmo ipnotico.

Tahira rispose nella stessa lingua, la sua voce melodiosa che si adattava sorprendentemente a quel dialetto così diverso. Con un cenno di assenso, estrasse dalla manica della sua veste un sacchetto che emetteva un tintinnio metallico. Lo porse con eleganza al Felit, che accettò senza esitare.

Il gruppo osservò lo scambio in silenzio, gli sguardi che si incrociavano pieni di domande non espresse. Uno dei due androidi — così sembravano essere quelle figure meccaniche — si avvicinò con un inchino sommesso. Raccolse il sacchetto, dopo che entrambi gli androidi avevano depositato le casse in un angolo della stanza.

L'androide consegnò il sacchetto al Felit, che lo infilò in una tasca senza nemmeno verificarne il contenuto. Con un altro inchino profondo, il Felit ringraziò Tahira, le parole ancora una volta pronunciate in quella lingua sconosciuta. Poi si voltò e si diresse verso l'uscita, la porta che si aprì da sola al suo avvicinarsi.

Kethmer notò il modo in cui il Felit e gli androidi si muovevano, con una coordinazione quasi innaturale. C'era qualcosa di enigmatico in quella breve interazione, un affare concluso con efficienza e senza necessità di ulteriori formalità.

Quando le figure scomparvero oltre la soglia, l'atmosfera nella stanza sembrò cambiare leggermente. Tahira si girò verso il gruppo, un sorriso enigmatico celato dietro la maschera. Ma prima che potesse dire qualcosa, il suono di passi leggeri annunciò il ritorno del re e della regina dall'udienza.

La regina discese le scale con grazia sovrumana, seguita dal re che manteneva la sua solita aria imponente. I loro volti erano impassibili, ma una sottile tensione poteva essere percepita da chi li conosceva bene.

"L'udienza è terminata," annunciò la regina con voce calma. "È tempo di proseguire il nostro viaggio."

Grimvald si alzò immediatamente, chinando il capo in segno di rispetto. El, Kethmer e gli altri seguirono il suo esempio, preparandosi a lasciare la Cittadella.

"Spero che il soggiorno sia stato di vostro gradimento," disse Tahira, le parole che suonavano sia come un congedo che come un monito. "Le porte di Al'Khalil Gibran Medel saranno sempre aperte per voi."

"La vostra ospitalità è stata impeccabile," rispose il re con un leggero inchino. "Vi ringraziamo per la vostra cortesia."

Mentre il gruppo si avviava verso l'uscita, Kethmer non poté fare a meno di lanciare un ultimo sguardo alle casse depositate nell'angolo. Cosa contenevano? Quali affari legavano Tahira a figure così enigmatiche come il Felit e i suoi androidi?

Ma non c'era tempo per ulteriori riflessioni. Una volta all'esterno, la luce fredda di Dolor li accolse nuovamente, e il deserto si estendeva davanti a loro, pronto a inghiottire i loro passi.

"Abbiamo ottenuto ciò per cui siamo venuti," disse il re, rivolto al gruppo.

Mentre si allontanavano, una figura osservava dalla finestra superiore della torre. Qualcuno seguiva i loro movimenti, il volto nascosto dalla maschera, gli occhi che riflettevano una luce indecifrabile.

Usciti dalla prima torre, il gruppo si diresse verso un'altra struttura imponente, ignorando quella centrale. Il battente della porta, finemente scolpito, sembrò animarsi al tocco dell'anello della regina. Con un leggero tremolio, riconobbe la sovrana e, nella lingua arcana di Dolor, le diede il bentornato come padrona di casa.

L'atrio era silenzioso e apparentemente abbandonato, ma conservava un'aura familiare. Il re si rivolse a El e Grimvald, impartendo istruzioni precise. "Preparate un cerchio di collegamento con il resto del gruppo nel deserto. Gli altri si occuperanno del trasferimento delle provviste e dell'equipaggiamento." La regina e il re si allontanarono, salendo le scale verso i piani superiori.

Il resto del gruppo discese in un vasto sotterraneo, un labirinto di stanze e corridoi che sembrava estendersi all'infinito. El e Grimvald iniziarono a tracciare il cerchio magico, concentrandosi sulla precisione dei simboli e delle formule.

"Ricorda," le disse Grimvald con tono serio, "la rapidità e l'accuratezza sono essenziali. Dobbiamo essere sempre pronti ad affrontare situazioni impreviste, come quelle accadute alla villa."

El annuì, gli occhi fissi sul lavoro. "Un giorno," aggiunse Grimvald, "quando sarai pronta, ti insegnerò l'incantesimo di trasmutazione necessario per far funzionare il cerchio autonomamente."

Lei sorrise leggermente, entusiasta all'idea di approfondire le sue conoscenze. Xerinni osservava la scena da lontano, mentre parlava sottovoce con Torvax.

"Come è andata la tua osservazione?" chiese Xerinni al nano, il tono calmo ma penetrante.

Torvax alzò le spalle con un sorriso ironico. "El ha un carattere interessante," disse. "Mi ricorda qualcuno..." Sentì un brivido lungo la schiena quando incrociò lo sguardo freddo di Xerinni. Si portò una mano alla gola. "Sto scherzando, naturalmente."

La Mesvet inclinò leggermente la testa. "E l'elfo? Cosa ne pensi di lui?"

"C'è qualcosa di estremamente... particolare in lui," ammise Torvax. "Ma si sta dimostrando utile, proprio come avevi previsto."

Dopo aver completato i preparativi, il gruppo si riunì attorno al cerchio. Grimvald pronunciò le parole dell'incantesimo, e in un lampo di luce soffusa, furono teletrasportati alla villa nel deserto. Le torri li accolsero, scambiando cenni di intesa.

Decimo si mise subito all'opera, coordinando le altre torri sotto la guida degli alfieri per organizzare il trasferimento. In breve tempo, grazie all'efficienza combinata della magia e del lavoro di squadra, cibo, equipaggiamenti, pedine e figure furono trasferiti nella nuova torre.

Il re accolse tutti nella nuova dimora provvisoria, indicando come sarebbe stato organizzato lo spazio. "Ai piani inferiori," spiegò, "si trovano le camere comuni per le pedine. Appena sopra, le camere singole per le figure. Su questo piano si trova il cerchio di teletrasporto, che sarà il nostro principale mezzo di spostamento. Da ora in avanti, gli alfieri saranno gli unici a poter attivare il cerchio. Per motivi di sicurezza, nessuno potrà lasciare la torre senza essere accompagnato da una figura di riferimento."

Indicò poi altre aree della torre. "Qui avremo il magazzino, una cucina con sala da pranzo comune, un'armeria per gli allenamenti e presto una biblioteca. Questo luogo diventerà la nostra nuova casa e dovremo lavorare insieme per renderlo accogliente."

Il re fece un gesto verso Kethmer, El e Torvax. "Desidero annunciare ufficialmente la promozione di questi tre membri," dichiarò con voce ferma. "Da oggi, assumono nuovi ruoli di responsabilità. Ricordatevi di mostrare rispetto verso di loro e di collaborare per il bene comune."

Un mormorio si diffuse tra le pedine, ma si spense rapidamente al cenno autorevole del re. "Presto," continuò, "squadre di figure verranno inviate sul piano terreno per studiare la situazione attuale. Dobbiamo monitorare i movimenti di Maria la Sanguinaria e degli stati confinanti, per individuare un luogo sicuro dove ricostruire la nostra casa."

Concluse il discorso con un tono solenne. "Confido nell'impegno di ciascuno di voi. Lavoriamo insieme per superare queste avversità. Ringraziate la regina per la sua ospitalità e preparatevi alle sfide che ci attendono."

Il gruppo si disperse, ognuno diretto ai propri compiti. Le pedine iniziarono a sistemarsi nelle nuove camere, mentre le figure organizzavano le risorse e pianificavano le prossime mosse.

Kethmer sentì una nuova responsabilità gravare sulle sue spalle, ma anche una determinazione rinnovata. El si avviò verso l'area destinata alla futura biblioteca, desiderosa di iniziare gli studi con Grimvald. Torvax, con il suo solito entusiasmo, si diresse verso l'armeria, pronto a mettere alla prova le sue abilità.

La torre cominciava a prendere vita, trasformandosi da semplice rifugio a centro pulsante di attività.