Novels2Search
Acufene [Italiano]
Capitolo X: Orizzonti gelidi

Capitolo X: Orizzonti gelidi

Kethmer vagava inquieto, la stanchezza inchiodata al corpo come un peso inamovibile, eppure il sonno gli sfuggiva ancora. I suoi passi risonavano nei corridoi spogli della nuova villa, un’ombra solitaria che si muoveva tra le ombre, incapace di trovare pace. Ogni pensiero era una spina, un fischio che gli scavava dentro.

Durante il suo girovagare, notò un’assenza che lo fece fermare di colpo. Nessuno degli schiavi con il collare era stato trasportato con loro. Quelle figure silenziose che avevano riempito la villa precedente erano scomparse, dissolte come se non fossero mai esistite. Un pensiero amaro gli attraversò la mente: li avevano abbandonati.

Nel salone principale, la grande tavola era ora imbandita con cibo e acqua, probabilmente un’opera degli alfieri. Kethmer si avvicinò, sgranocchiando distrattamente un pezzo di pane duro e bevendo un sorso d’acqua che sapeva di polvere. Il cibo riempiva lo stomaco, ma lasciava vuota la mente. Non trovando conforto neppure lì, si diresse verso l’uscita.

All’esterno, tra il freddo irreale del sole innaturale, trovò la torre. L’orco stava appoggiato a un muro, le braccia incrociate, il volto segnato da un’espressione grave ma non stizzita.

"Che ci fai qui?" chiese l’orco, con il suo solito tono burbero ma senza il peso della rabbia.

Kethmer scrollò le spalle. "Non riesco a riposare. C’è qualcosa che posso fare?"

La torre scosse la testa, un movimento lento e pesante come un macigno che cade. "Dobbiamo aspettare nuovi ordini. Nulla da fare, almeno per ora."

Kethmer rimase in silenzio per un istante, poi sollevò lo sguardo verso di lui. "Perché ci siamo spostati qui, in Dolor? Non potevamo andare da un’altra parte? E gli schiavi? Che fine hanno fatto?"

L’orco sbuffò, una risata breve e senza gioia. "Se fossimo rimasti sul piano umano, Maria ci avrebbe trovati più facilmente." Il suo sguardo si perse verso l’orizzonte, nelle sabbie che sembravano non avere fine. "I nostri sovrani hanno sottovalutato il nemico. È stata una leggerezza imperdonabile, ma qui, almeno, siamo al sicuro per ora. Dolor non è un luogo che chiunque possa invadere, neppure lei. Anche se ci scoprisse, dubito che sconfinerebbe nei territori dei diavoli."

Kethmer rabbrividì. Quel nome—diavoli—sembrava risuonare nel silenzio, un’eco che nessuno poteva ignorare.

L’orco continuò, la sua voce che si fece più bassa, quasi un sussurro. "La regina ha legami con questo luogo, in modi che non comprendiamo. È sempre stata legata a Dolor, e forse non avremmo mai potuto sfuggirne, non completamente."

Il silenzio si fece pesante per un istante, ma Kethmer lo interruppe. "E gli schiavi? Dove sono?"

L’orco abbassò lo sguardo verso di lui, la sua espressione indurita da una verità scomoda. "Erano un peso inutile. Al di là, erano un lusso che potevamo permetterci. Qui sarebbero stati solo bocche da sfamare e da proteggere, nulla di più."

"Li abbiamo lasciati indietro?" chiese Kethmer, la voce incrinata da un’incredulità malcelata.

"Sì." La parola cadde come una pietra. "Sono rimasti alla villa, con l’ordine di bruciare e distruggere qualsiasi informazione o indizio su di noi che fosse rimasto intatto. Hanno completato il loro compito."

Kethmer si sentì scosso da una rabbia impotente, ma non disse nulla. Non c’era nulla da dire in quel luogo dove la morale era tanto arida quanto la sabbia che li circondava.

L’aria fu tagliata da un sibilo crudele. Kethmer non ebbe il tempo di reagire; una fitta al collo lo costrinse a portare la mano alla ferita, mentre un gorgoglio di sangue gli riempiva la gola. Strinse i denti, strappandosi via una scheggia sottile e affilata di quello che sembrava vetro. Il mondo attorno a lui si deformò, le torri alzarono lo sguardo, i loro sensi temprati dall’esperienza percepivano una minaccia imminente.

Dalla sabbia, come evocati da un incubo, cominciarono a prendere forma ombre oscure. Crescevano dal terreno, serpentine e deformi, materializzandosi in figure evanescenti avvolte da un alone spettrale. Una voce aberrante sibilò nell’aria, parlando una lingua che sembrava fatta di vetri che si infrangono. Eppure, in qualche modo, Kethmer comprese.

"Non muore," disse uno degli esseri, puntando verso di lui. Le parole risuonavano nella sua mente più che nelle sue orecchie, insinuandosi come spine.

In pochi istanti, una mezzaluna di spettri di sabbia li attorniò. Le torri si disposero in formazione, pronte alla battaglia, ma furono distratte da un nuovo tonfo. Dalla sabbia emerse un corpo, trasportato da un’onda crudele. Rotolò davanti a loro, fermandosi in una posa macabra. Era uno dei Cavalli in esplorazione, morto, con il volto sfigurato e gli arti contorti.

L’aria si fece più densa, come se il tempo stesso esitasse. Poi, un tonfo ancora più profondo ruppe l’istante. Il re, il cavaliere nero, era atterrato con una potenza devastante, sollevando un’onda d’urto che fece indietreggiare le ombre. Sopra di lui, da una finestra rotta, la regina osservava dall’alto con una calma glaciale, i lunghi capelli neri che ondeggiavano nel vento irreale.

Il cavaliere parlò, la sua voce un ruggito che sembrava scaturire dagli abissi. "Spettri di vetro," disse, usando la stessa lingua dei nemici. Kethmer capì le parole, mentre il loro suono sembrava vibrare nelle sue ossa. "La vostra arroganza verrà punita."

The tale has been taken without authorization; if you see it on Amazon, report the incident.

La spada del cavaliere si alzò, scintillando alla luce irreale del sole gelido. Kethmer sentì un cambiamento nel proprio corpo: il fischio nella testa, quel tormento costante, si placò. Una calma innaturale si fece strada nel suo cuore, un silenzio carico di qualcosa che non riusciva a definire.

Quando il re abbassò la spada, le torri si mossero in sincronia, i loro corpi che sembravano rispondere al gesto come marionette guidate da un’unica mente. Con un balzo, il cavaliere sfondò le linee nemiche, la sua spada che tracciava un arco mortale, e le torri lo seguirono in una formazione perfetta.

"Carica a punta di freccia!" gridò, e le torri si gettarono in avanti, spezzando le linee nemiche con precisione letale. I nemici colpiti dalle loro armi svanivano, dissolvendosi in fumo e sabbia, le loro forme che si frantumavano come vetro infranto.

Kethmer, spinto dall’istinto, si unì alla carica. Con un pugno che avrebbe mandato in frantumi il cranio di un uomo, colpì uno degli spettri al volto. Ma nulla accadde. L’essere non si dissolse, non vacillò; il suo corpo si contorse, ma rimase intatto, sibilando con un riso crudele.

I suoi colpi, così devastanti contro i mortali, erano inefficaci contro quelle creature. Kethmer si fermò, il cuore che gli batteva forte. Si voltò verso le torri, osservando con sorpresa come i loro attacchi, al contrario, eliminassero i nemici con apparente facilità. Cosa mancava in lui? Perché i suoi pugni non erano abbastanza?

La battaglia continuava a infuriare attorno a lui, ma per la prima volta, Kethmer si sentì fragile. Un senso di impotenza cominciò a insinuarsi, mentre le risate sibilanti degli spettri lo circondavano, echeggiando nella sua mente come un monito.

La battaglia infuriava ancora quando un movimento fluido e unico del re attirò l’attenzione di Kethmer. Con una velocità soprannaturale, il cavaliere nero strappò un pugnale dalla sua cintola e lo lanciò verso di lui. La lama sibilò nell’aria, attraversando le torri in movimento senza sfiorarle, come guidata da una volontà divina, e finì perfettamente tra le mani dell’elfo. Il metallo freddo emanava un’aura strana, un’energia che Kethmer percepiva attraverso la pelle, come un fremito antico.

"Quadrato!" urlò il re, la sua voce che risuonava come un tuono che squarciava il cielo. La punta di freccia, che aveva spezzato la mezzaluna nemica, si raccolse in un quadrato serrato, compatto, pronto a resistere a qualsiasi assalto.

Kethmer, il pugnale stretto tra le mani, lo osservò con occhi ardenti. L’essere spettrale che lo tormentava si mosse verso di lui, il suo corpo deformandosi in un vortice di sabbia e vetro. Con un gesto deciso, Kethmer alzò il pugnale e lo affondò nella creatura. La lama sembrava vibrare al contatto, rilasciando una scarica di energia che fece svanire l’essere in una nuvola di polvere, come se non fosse mai esistito.

Con il fischio nella testa che svaniva brevemente, Kethmer si unì al quadrato, il respiro pesante ma gli occhi fissi sugli spettri che ancora si agitavano attorno a loro. Le creature attaccavano da ogni lato, infrangendosi sugli angoli della formazione come onde contro una scogliera. Gli spettri che riuscivano a oltrepassare le difese venivano abbattuti uno ad uno, dissolvendosi in una pioggia di schegge di vetro.

"Circondateli!" ruggì il re, alzando la spada. Le torri risposero con precisione letale, chiudendo l’ultimo anello attorno ai nemici rimasti. Gli spettri, intrappolati nella stretta mortale, si dimenarono disperati, ma uno ad uno vennero eliminati, fino a quando l’ultima delle creature si frantumò in mille schegge scintillanti.

Il campo di battaglia si fece silenzioso, i rumori assordanti sostituiti dal lieve tintinnio delle schegge che cadevano al suolo. Kethmer si guardò intorno, osservando i pochi feriti, per lo più colpiti da frammenti di vetro. Nulla di troppo grave, nessuna perdita irreparabile.

"Creature infime," dichiarò la torre accanto a lui, strappandosi con calma una scheggia dal braccio e gettandola a terra. La voce aveva un tono di disprezzo, ma anche di rilassamento.

Kethmer abbassò lo sguardo sul pugnale che ancora stringeva. La lama era ancora fredda, ma pulsava di una strana vitalità, come se fosse viva. Qualcosa in lui si era svegliato, un senso di appartenenza e forza che non aveva mai provato prima. Per la prima volta, si sentì parte di qualcosa di più grande, di un disegno che cominciava appena a intravedere.

Mentre il campo si svuotava lentamente delle tensioni della battaglia, Kethmer rimase immobile, il respiro affannoso e il cuore che martellava nelle orecchie. Le domande si affollavano nella sua mente come ombre inquietanti.

Cos’erano quelle creature?Perché riusciva a comprenderle, mentre sibilavano la loro lingua aliena?Cosa legava il re a quelle ombre, tanto da parlare come uno di loro?E soprattutto, cos’era quella subordinazione naturale e incontrollabile che aveva provato nei confronti del cavaliere nero? Non era stato il terrore della sua presenza, ma una forza più profonda, quasi come se la sua stessa anima si fosse piegata a quell’autorità.

Rimase così assorto nei pensieri che non notò il re avanzare verso di lui. Le torri si mossero come un sol uomo, aprendosi per lasciarlo passare. Il cavaliere si fece strada fino a trovarsi davanti a Kethmer, imponente come una montagna d’ombra e acciaio.

"Cosa ci fa una pedina tra le torri di guardia?" chiese, la voce metallica e fredda che risuonava dall’elmo. Era un suono senza ira, ma carico di autorità. Kethmer si irrigidì, non sapendo cosa aspettarsi. Esitò solo un istante prima di rispondere.

"Volevo rendermi utile," disse, attendendosi una ramanzina, forse qualcosa di peggio. Le dita si contrassero involontariamente, il corpo pronto a un castigo imminente. Ma nulla accadde.

Il re rimase in silenzio per un lungo momento, il suo sguardo nascosto che sembrava scrutare l’elfo fino alle ossa. Poi, con un tono inaspettatamente neutro, disse: "Lo sei stato."

Kethmer alzò appena lo sguardo, incredulo. La lama che ancora stringeva tra le mani vibrò improvvisamente. Prima che potesse reagire, il pugnale si sollevò da solo, sfuggendo alla sua presa, e volò con precisione verso il re, rinfoderandosi al suo fianco come un falco che tornava al guanto del suo padrone. Era come se la lama avesse una volontà propria, o rispondesse a qualcosa di più grande.

"Domani sarai convocato," aggiunse il cavaliere nero, congedandosi senza ulteriori spiegazioni. Con un unico movimento fluido, si voltò e riprese a camminare tra le torri che si richiusero al suo passaggio.

Kethmer rimase lì, immobile, ancora incredulo. Dietro di sé percepì degli sguardi. Si girò appena e vide una piccola folla di pedine che avevano assistito alla scena. Tra loro c’erano El e Torvax. El aveva lo stesso sorriso enigmatico e ambiguo che indossava sempre, mentre Torvax sembrava combattuto tra la curiosità e una certa ammirazione riluttante.

Per un istante, Kethmer sentì di trovarsi al centro di un disegno troppo grande per essere compreso, un punto minuscolo nella vastità di un quadro incompleto. La tensione del momento si sciolse lentamente, ma le domande nella sua mente rimasero, affamate di risposte.